Stay human, stay social

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Sono passati 70 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, forse l’espressione più alta della nostra civiltà. Se ci pensiamo bene sono le parole che contano, ogni singola parola. Se esse vengono dimenticate, travisate o utilizzate male, le conseguenze sono devastanti. Quello che sembra succedere oggi. Tutti dovremo avere il diritto di non odiare. Ma si diffonde il contrario, una rabbia strisciante che si tramuta in slogan violenti. Spesso la palestra di questa violenza è il web. Chi lavora sui temi dell’ambiente, dei diritti umani, della democrazia e della pace deve capire cosa si muove nella rete. Perché tutto è fatto di parole. Proprio il 10 dicembre di 20 anni fa, giornata mondiale dei diritti umani, nasceva il portale Unimondo.org, un progetto di Fondazione Fontana. In occasione di questo compleanno Unimondo ha organizzato un incontro intitolato “Stay human, stay social. Dialogo sulla comunicazione non ostile”, previsto per oggi lunedì 10 dicembre dalle ore 18.00 presso l’oratorio del Duomo a Trento in via Madruzzo 43/45. Dialogheranno insieme Vera Gheno, sociolinguista, e Bruno Mastroianni, giornalista e social media manager. I due, autori di numerosi volumi, discuteranno sul ruolo delle parole dei social network. La situazione odierna che sembra irrecuperabile. La rabbia e l'odio dilagano sul web. Ma è proprio così? Esiste una via d’uscita?

Da qui partiamo con questa intervista a Gheno e Mastroianni. Da dove nascono le possibilità di una interazione civile anche sul web? 

Non si stava meglio quando si vedeva meno. La rete ha solo dato la possibilità a tutti, senza selezione all’ingresso, di poter intervenire nel dibattito pubblico per iscritto. Eravamo abituati a un dibattito molto filtrato, per questo proviamo disagio di fronte all'espressione libera e magari scomposta di ogni pensiero. Lo chiamiamo odio e rabbia, generalizzando, ma in realtà in quei flussi ci sono le paure, le preoccupazioni, le emozioni reali delle persone. Andrebbero presi sul serio e ascoltati attentamente. Per quanto in forme scomposte, sono istanze che richiedono risposte.

Comunicazione fa rima con educazione. Esistono le "buone maniere" sui social? 

Esistono sicuramente le buone maniere, ma soprattutto esiste la possibilità di comportarsi in maniera civile, che tiene conto dei limiti della propria libertà e della presenza degli altri attorno a noi. Chiamarle buone maniere le fa sembrare la fissazione un po' démodé di signore imbellettate che prendono vezzosamente il tè. 

Cosa c’è di più profondo? 

In realtà, qui si parla della necessità di imparare a gestirsi non solo nella vita "reale", fisica, ma anche nella vita virtuale, smettendo di considerarle due vite separate, quanto piuttosto due "stati" diversi del nostro essere da vivere in continuità. Secondo noi, la persona che alla fine sta meglio è quella che sia offline sia online riesce a comportarsi in maniera ragionata, senza dare sfogo ai propri istinti più bassi, a quell'animale che tutti, volenti o nolenti ,"ci portiamo dentro", tanto per citare Franco Battiato. Quindi noi non parliamo di mera forma (come talvolta, a dire il vero a torto, può sembrare il Galateo), ma di un contegno morale e del comportamento che è conseguenza di una salda sostanza.

La rabbia on line è lo specchio di quella reale, che si respira nel Paese. L'una alimenta l'altra, ma quale viene prima? 

Intanto metterei in discussione il concetto di rabbia. A emergere è anzitutto la differenza e il dissenso: l’interconnessione in cui siamo immersi ci ha resi tutti più vicini e ci fa costantemente incontrare/scontrare con la diversità emotiva, culturale, valoriale, linguistica degli altri. Ciò può provocare frustrazione perché ci mette alla prova di fronte a interlocutori che non sono automaticamente disposti a riconoscere competenze e gradi di autorevolezza. La definiamo genericamente come “rabbia”, ma in realtà è soprattutto frutto di un dissenso che è mal espresso da un lato, e non accolto dall'altro. Chi ricopre un ruolo o ha una competenza (politica, culturale, scientifica, sociale) dovrebbe prendersene cura. Invece spesso rinuncia e il campo è lasciato libero ai manipolatori che sono capacissimi di sfruttare quella frustrazione a loro vantaggio.

Contro questi manipolatori come ci si può difendere? Si moltiplicano gli esperti ma forse serve qualcos’altro… Voi avete un approccio diverso, oserei dire "umanistico" perché basato sulla parola... 

Poiché la comunicazione è un campo fortemente interdisciplinare, esistono senz'altro molti esperti e molte ricette per avere (più) successo in rete. Anche al nostro approccio mancano sicuramente punti di vista; semplicemente, l'incontro tra una sociolinguista e un filosofo ha permesso a entrambi di allargare la prospettiva che per forza di cose, semplicemente per il fatto di essere studiosi di una certa disciplina, tende a focalizzarsi su quella. Il nostro approccio  parte, dalla caratteristica più umana che abbiamo: una competenza che ci differenzia da tutti gli altri animali che vivono sulla terra, che è quella della parola. Secondo noi, in un sistema nel quale comunichiamo soprattutto per iscritto, una riflessione metacognitiva sulla parola permette di ridarle potere, e al contempo di renderci più "potenti" nelle nostre interazioni. Chi ha il controllo delle proprie parole ha un vantaggio tattico rispetto a chi, in qualche modo, le usa con poca consapevolezza. 

Da questo voi partite nel libro “Tienilo acceso”… 

Certamente, lo facciamo per costruire una sorta di competenza digitale vòlta a creare cittadini più resistenti alle sollecitazioni di pancia, che noi individuiamo come uno dei problemi centrali che si vedono bene in rete in questo momento storico. La soluzione, insomma, alla comunicazione deragliata, non è continuare a lamentarsi, o chiedere a gran voce regole, divieti e punizioni esemplari - che pure, in alcuni casi, servono - ma prendere in mano la propria vita online e fare un lavoro prima di tutto su di sé. In questo modo, si può contribuire alla creazione di veri e propri circoli virtuosi, alcuni piccoli, altri più grandi, che realmente possono contribuire a cambiare la forma stessa della rete.

Articolo parzialmente pubblicato sul “Trentino” 

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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