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L’isola dei granchi
Diplomazia popolare
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Disegno: Sarah Sommavilla
Raccontare storie ha un potere lenitivo, aiuta a pensare a cose piacevoli, lontane dalla realtà quotidiana, e a ripulire la mente dalle ombre che possono ostacolare il sonno. Con questo scopo a Bamako (Mali) è nato un laboratorio informale, dal nome "Ala ka dugu gnuman djè" ("buona notte" in bambara, la lingua locale), avviato da un gruppo di donne del quartiere di Magnambougou. L'idea è quella di creare una serie di storie della buonanotte che possano poi essere raccontate a bambini e, perchè no, ad adulti, provenienti da realtà e vissuti diversi. Questo perchè in un paese come il Mali, dove conflitti e tensioni di varia natura sono all'ordine del giorno, la coesione sociale e la fiducia nel futuro sono sempre piu' precarie. Nella speranza di far sognare anche voi, vi proponiamo di di seguito il primo racconto, buona lettura.
Una storia italo–senegalese
C'era una volta un'isola deserta.
L’isola si trovava nel bel mezzo del mare tropicale, bagnata da acque cristalline di raro splendore.
In quest'isola non viveva nessuno, c'erano solo palme, frutti esotici e una bellissima spiaggia dalla sabbia bianca. Era un gioiello nell'oceano.
Gli unici, piccoli, esseri viventi che l'abitavano erano dei granchietti. Tanti, tantissimi minuscoli granchietti arancioni, grandi sì e no come un noce.
I granchietti trascorrevano le loro lunghe giornate pigre oziando al sole, sgranocchiando gamberetti secchi e giocando in riva al mare.
Questi granchietti non avevano chele, bensì mani dalle lunghe dita delicate con le quali si tenevano stretti e camminavano in fila indiana ogni volta che avevano bisogno di spostarsi.
Ed è così che al calar della sera si potevano vedere infinite carovane transitare dal bagnasciuga verso l'entroterra, granchietto dopo granchietto, quasi come fossero le perle di una preziosa collana.
C'era la pace sull'isola e i piccoli animaletti vivevano in tranquillità.
Un giorno, in seguito ad una spaventosa tempesta con onde alte più di dieci metri, sull'isola arrivò uno strano essere, che nessuno aveva mai visto prima.
Era uno strano animale, si potrebbe dire, mostruoso: aveva quattro arti, lunghi e sottili, capelli ovunque, anche sul volto, e due occhi scuri e profondi.
Dopo aver dormito per due giorni di fila, lo strano essere iniziò a studiare l'isola sulla quale era approdato. Girava, in lungo e in largo, su e giù per le dune di sabbia. Prendeva nota di distanze, scriveva strani numeri su foglie di palma. E un giorno, si mise a costruire.
Costruiva, costruiva, costruiva. Non mangiava, non beveva, non faceva soste. Passava le ore sotto il sole cocente ad accumulare, sistemare, fare e rifare. Inventò degli strani strumenti utilizzando pezzi di conchiglia levigati dal mare, con i quali cambiava la forma a tronchi e pietre.
Fu' così che ben presto, la bella spiaggia dell'isola dei granchi divenne un ammasso di costruzioni, case, edifici altissimi, fabbricati in vista di ospitare altrettanti esseri pelosi come lui.
I granchi, di punto in bianco, si trovarono a vivere in un'isola che non era più la loro. Non riuscivano ad orientarsi in quel dedalo di casermoni giganteschi. La mattina non vedevano più la luce dell’alba, di giorno non riuscivano più a scaldarsi con i raggi del sole.
Una sera, dopo aver perso l'ennesimo tramonto, il granchietto più giovane dell'isola si disse che era giunta l'ora di fare qualcosa. Gli mancavano il sole, la luna, la vista delle stelle.
Convocò un'assemblea, alla quale parteciparono tutti, granchiette, granchietti, e le vecchie granchie depositarie di tutta la leggendaria conoscenza della cultura granchiesca tramandata di generazione in generazione presiederono l'incontro. La riunione durò tutta la notte, ci furono lunghe discussioni, i granchi parlarono e rifletterono bevendo succo di cocco e masticando alghe fino al mattino. Ma alla fine la soluzione arrivò.
Quella stessa mattina, finita l’assemblea, i granchietti uscirono dalle tane nascoste sotto la sabbia e in silenzio, in religiosa fila indiana, si diressero verso i cantieri organizzati dall'animale peloso che ancora dormiva. Ma questa volta, i piccoli animali, non si tenevano più per mano: infatti, al posto delle belle dita affusolate, avevano delle appuntite chele taglienti e pronte per essere usate.
Pazientemente e meticolosamente iniziarono a distruggere, pezzetto dopo pezzetto, ogni singola brutta costruzione creata dall’essere peloso. I granchietti erano così numerosi, e le loro chele così affilate, che nell'arco di pochi minuti la spiaggia tornò ad essere quella di un tempo. La luce del sole riapparve e le stanche schiene dei granchi poterono di nuovo essere scaldate dai raggi del sole.
Da quel giorno, la serenità tornò sull'isola e i piccoli animaletti non si fecero più sopraffare da nessun essere arrogante e presuntuoso. Ma ancora oggi, al posto delle mani, i granchi conservano delle lunghe chele aguzze, e delle piccole zampette sulle quali si spostano ogni sera, al calar della notte, lungo la bella spiaggia dell'isola dei granchi.