La percezione della pandemia da un campo sinti

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Foto: Unsplash.com

Siamo a Trento, a fine agosto. È l’una di pomeriggio quando arriviamo al campo sinti che stiamo cercando e la sensazione è quella di entrare a casa di qualcuno che di certo non aspettava delle visite.

Nella zona d’ingresso si scorgono diverse roulotte. Dei bambini in pantaloncini corti corrono bagnati per il grande cortile, mentre una probabile sorella maggiore li rincorre con la canna dell’acqua. Anche se è già arrivata la fine dell’estate, il sole batte forte e un po’ di refrigerio lo si trova solamente all’ombra di qualche grande albero. 

Una ragazza, capelli biondi ossigenati e un brillantino al lato delle labbra, ci accoglie con un sorriso dolce. Le spieghiamo che stiamo cercando il referente del campo. “Va bene, vi chiamo l’anziano”, risponde gentile.

I bambini continuano a schivare i getti dell’acqua e non si capisce se i più felici siano loro o la sorella che li rincorre.

“Chi siete?”, la voce arriva da dietro un furgone parcheggiato alla nostra sinistra. Camicia sbottonata, una lunga catena con una croce d’oro come pendente e capelli lunghi brizzolati. Immaginiamo che si tratti dell’”anziano”, anche se non ha l’aspetto particolarmente vecchio.

Dopo i primi convenevoli e presentazioni, spieghiamo di trovarci lì per sapere come abbiano vissuto il periodo del confinamento. Questo campo è uno dei pochi riconosciuti e regolarizzati dalla Provincia di Trento, ci sono una ventina di famiglie e ognuna ha un piccolo modulo abitativo attrezzato con cucina e servizi igienici.

“La cosa che più è cambiata con l’arrivo del virus è la paura. Abbiamo molta paura che qualcuno possa ammalarsi e far ammalare di conseguenza tutti gli altri. Nel nostro campo ci sono tante persone nella fascia di età a rischio. Se dovesse arrivare il virus, qua saremmo tutti spacciati. Anche se ogni famiglia abita per conto suo e non facciamo attività particolari assieme, viviamo comunque in uno spazio circoscritto. Adesso quando dobbiamo recarci a fare la spesa o delle commissioni, cerchiamo di organizzarci in modo tale che siano solo in pochi a spostarsi, per esporre il minor numero di persone all’esterno”, continua il referente del campo che nel parlare non smette per un attimo di guardarci in tralice. 

“Il problema è che quando dobbiamo incontrare gli altri, vediamo che non sempre è usata la mascherina, al supermercato la gente ti passa vicino e quando fa la fila non rispetta la distanza di sicurezza. A voi piace lo spritz, non è vero?”, domanda ricevendo un’immediata risposta affermativa. “Ecco, è per questo che stanno risalendo i contagi, i giovani fanno festa, le discoteche, gli aperitivi, e non pensano alle conseguenze delle loro azioni sul prossimo, sugli anziani. In questo modo va a finire che saremo punto e a capo. Avevo pensato di portare i miei figli al lago, ma quando ho visto la gente ammassata sulla spiaggia ho fatto marcia indietro e me ne sono andato”.

Una bambina che avrà su per giù una decina d’anni fa capolino dalle gambe dell’uomo con cui stiamo parlando, incuriosita dalla nostra presenza. “Io le lezioni le ho seguite col cellulare, non è stato difficile!”, ci racconta con un grande sorriso. “Staremo a vedere adesso con la riapertura delle scuole cosa succederà, ci preoccupa molto”, continua l’uomo.

Alla nostra domanda, se le varie famiglie del campo abbiano l’abitudine di fare delle attività assieme, come mangiare o condividere dei momenti particolari, ci sentiamo rispondere: “Ma cosa credete, che siamo tutti sotto naia? Io il militare l’ho fatto a Brunico, ma sono tempi lontani. Qua le famiglie si autogestiscono, ognuno mangia a casa sua e manteniamo le distanze”.

È solo dopo un’ora buona di conversazione che il clima si fa più disteso e scopriamo che il signore con cui abbiamo parlato si chiama Vittorio ed è un musicista. “Venite, vi mostro la mia casa”. La sensazione è ormai quella di parlare con un vecchio amico, ma sull’uscio della porta veniamo bloccati dalla moglie che in sinto fa capire al marito che la nostra presenza non è decisamente gradita. Dalla piccola porta che dà sulla cucina riusciamo comunque ad intravvedere due violini appesi alla parete e uno stemma di famiglia risalente a chissà quale generazione.

Io non vivrei mai in un appartamento, se mi rinchiudi io muoio. Per i nostri ragazzi che vanno a scuola è diverso, i giovani sono abituati a stare negli spazi chiusi, con i loro compagni di classe. Io non ce la farei, mi mancherebbe l’aria”, continua Vittorio.

Dal mestolo che inizia ad agitare la signora fra le mani capiamo che è arrivato il momento del pranzo.

Uscendo, passiamo accanto ad una lunga Mercedes blu nascosta da una fila di panni bianchi stesi al sole. Dalla visita al campo sinti di Trento, ci rimane lo spirito di appartenenza ad una comunità, il senso di protezione per l’altro e la grande paura nei confronti di questa malattia.

Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.

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