Il lavoro delle Ong nel Mediterraneo, tra minacce e ostruzionismo

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Foto di Raphael Schumacher - SOS Humanity 

Domenica 24 agosto una motovedetta della cosiddetta Guardia costiera libica ha aperto il fuoco sulla nave Ocean Viking della Ong SOS Méditerranée che si trovava a circa 40 miglia nautiche dalla costa libica, in acque internazionali. Un attacco durato circa venti minuti con proiettili sparati ad altezza d’uomo, che hanno colpito l’imbarcazione umanitaria, mettendo in pericolo la vita di tutte le persone a bordo: 87 naufraghi e l’equipaggio della nave. Si tratta di un’azione gravissima che segna una svolta nella violenza praticata dalle autorità libiche contro le persone migranti e le Ong che operano nel Mediterraneo centrale. Ne abbiamo parlato con Sara, Protection officer a bordo della nave Humanity1 della Ong SOS Humanity.  

Qual è il contesto in cui si inserisce l'attacco alla Nave Ocean Viking di SOS Méditerranée? Si è trattato di un attacco isolato o ci sono stati altri episodi che indicano un comportamento pericoloso e criminale da parte della Guardia costiera libica?

«Dal 2016 la cosiddetta Guardia costiera libica viene sovvenzionata dall'UE e dall'Italia in vari modi, inclusa la donazione di motovedette. Le motovedette vengono utilizzate anche al di fuori delle acque nazionali libiche, cioè in acque internazionali. Il Mediterraneo centrale è diviso in diverse regioni di ricerca e salvataggio e nella Libyan SAR zone queste motovedette operano quotidianamente. Allo stesso tempo, nella SAR libica ci sono anche altre motovedette non identificate il cui equipaggio spesso è armato. Li abbiamo visti agire in vari modi, anche avvicinandosi alla nostra nave e minacciando il nostro lavoro. Dal 2016 ad oggi abbiamo notato una presenza discontinua di questi attori non identificati. 

La motovedetta che ha attaccato la Ocean Viking è stata riconosciuta per il tipo di imbarcazione, dato che si trattava di una classe Corrubia, cioè una di quelle donate dall'Italia nel 2023. 

Gli attori a bordo di quelle motovedette hanno un comportamento visibilmente minaccioso: si avvicinano, ci accerchiano, provano a contattarci via radio, ci scherniscono oppure ci intimano di andarcene dalla scena dei soccorsi, violando il diritto marittimo internazionale. 

Proprio recentemente è successo che dei gommoni veloci con a bordo persone mascherate e armate abbiano accerchiato la nave di Mediterranea nella zona SAR libica. 

Ecco perché chiamiamo le autorità libiche nel Mediterraneo centrale la “cosiddetta Guardia costiera libica", perché sappiamo che all'interno di quel sistema ci sono delle interferenze per cui le autorità libiche sono coinvolte in operazioni di intercettazione delle persone migranti in mare, che violano le leggi internazionali. L'ultima operazione di soccorso che abbiamo portato a termine con la Humanity1 risale al 23 agosto. Abbiamo soccorso un'imbarcazione con a bordo 51 persone grazie ad un segnale di allarme lanciato dall’aereo Colibrì della Ong Solidaire; qualche ora dopo lo stesso aereo ha lanciato un altro segnale a 18 miglia di distanza, ma la cosiddetta Guardia costiera libica ci aveva preceduti e hanno effettuato un respingimento illegale. 

L’attacco contro la Ocean Viking è senza precedenti per la sua violenza e la sua gravità, un'azione contro l’intera flotta civile. Proprio per la gravità di questo attacco vorremmo che venisse ampliata l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica italiana ed europea su quanto è accaduto e sulla situazione nel Mediterraneo centrale. L’escalation della violenza è scioccante. Ecco perché è necessario che si apra un’indagine trasparente e indipendente su questo attacco a una nave umanitaria. 

Questo perché, come dicevamo, è un atto criminale senza precedenti, ma che si inserisce in un contesto sistematico di minacce, intimidazioni e violenza che le persone migranti e gli equipaggi delle Ong continuano a subire. 

Tra il 2024 e il 2025 l’equipaggio della Humanity1 è stato minacciato verbalmente dalla cosiddetta Guardia costiera libica in quattro episodi diversi. Inoltre, durante un'operazione di soccorso molto critica a marzo 2024, mentre le nostre lance di salvataggio veloce erano impegnate in un’operazione di soccorso e c'erano delle persone migranti che erano finite in acqua, sono giunti dei gommoni non identificati che hanno sparato in acqua per cacciarci e respingere le persone verso l’orrore in Libia. 

In che modo Italia ed Europa hanno supportato e continuano a supportare concretamente la Guardia costiera libica?  

Dal 2016 la cosiddetta Guardia costiera libica viene sovvenzionata dall'UE e dall'Italia attraverso vari accordi, che includono sia il finanziamento per la protezione delle frontiere, sia atti concreti come la donazione delle motovedette. Non solo: l'Europa si è preoccupata di formare il personale libico per rinforzare la frontiera e la sua esternalizzazione. 

Infine c'è stato il sostegno nello stabilire la Search and Rescue Libyan Zone in acque internazionali, che è stata poi formalmente riconosciuta sia dall'UE che dall'IMO, l’Organizzazione marittima internazionale. Dunque, la cosiddetta Guardia costiera libica è riconosciuta formalmente a livello internazionale ma non è un attore legittimo nella ricerca e soccorso, come comprovato dalla sentenza della Corte di Crotone.  

Quali sono invece le conseguenze della pratica, avviata con il Decreto Piantedosi, di assegnarvi porti di sbarco anche molto lontani rispetto alla zona di soccorso? 

Assegnare un porto di sbarco lontano significa prolungare in modo assolutamente non necessario la permanenza a bordo dei naufraghi. Questo equivale a prolungare in modo disumano la sofferenza, il dolore e la fatica di persone che sono già in uno stato di forte vulnerabilità, sfinite e disidratate. 

La nostra nave è equipaggiata per la ricerca e il salvataggio, quindi per l'emergenza, ma ovviamente non è equipaggiata per ospitare un numero così alto di persone a lungo termine. Abbiamo una clinica medica che è attrezzata per le emergenze, ma non è preparata per gestire le condizioni di vulnerabilità medica e psicologica che incontriamo. Ricordiamoci che stiamo parlando di persone che hanno percorso un viaggio pericoloso, hanno vissuto in Libia e hanno affrontato il viaggio in mare. Sono persone che sono state esposte ad una quantità di violenza incredibile e ad altri fattori come la malnutrizione e che hanno bisogno e hanno diritto di cure adeguate e protezione il prima possibile.

Posticipare gli sbarchi per una legge è disumano: prolungare il tempo di viaggio significa esporre queste persone agli eventi atmosferici, perché, nonostante la nave sia dotata di un sistema di tende, le persone ospitate dormono per terra, tutte vicine, su un materassino con una coperta, magari in preda al mal di mare. 

Per quanto riguarda il nostro lavoro, invece, l'assegnazione di porti lontani ci "tiene fuori" dalla zona operativa per molti giorni. Ad esempio, la nostra nave è appena approdata a Ravenna. Per raggiungere questo porto ci sono voluti cinque giorni e mezzo di navigazione. 

Ciò significa che sono necessari dieci giorni per andare e tornare da Ravenna, dieci giorni di assenza dalla zona dove avvengono il maggior numero di casi di “distress” [difficoltà] e dove il nostro lavoro è cruciale, dieci giorni in cui avremmo potuto effettuare dei salvataggi. 

Mentre la Humanity1 è a Ravenna, la Ocean Viking rimarrà ferma per le riparazioni a seguito dell’attacco e la Sea Watch è in direzione del porto di Ortona. 

A ciò si aggiunge il problema dei costi: una nave come la Humanity1 ha dei costi operativi molto elevati. L'assegnazione di porti lontani non fa altro che disperdere risorse preziose, che avremmo potuto usare per salvare vite umane.  

In che modo i fermi amministrativi a cui sono soggette le navi delle Ong contribuiscono a rendere più difficile il lavoro di salvataggio?  

In seguito al Decreto Piantedosi e al successivo Decreto flussi ci sono stati tantissimi fermi amministrativi. L'ultimo è stato quello della nave Mediterranea, che si è rifiutata di arrivare fino al porto di Genova dopo aver salvato delle persone in acqua. Raggiungere il porto di Genova avrebbe richiesto cinque giorni di navigazione.

Il fermo amministrativo è una pratica che ormai viene utilizzata costantemente nei confronti delle Ong: dal febbraio 2023, i fermi amministrativi delle navi umanitarie sono stati 31 e un fermo ha riguardato l'aereo Seabird di Sea Watch. Generalmente sono fermi della durata di venti giorni. 

Anche la Humanity1 è stata sottoposta a due fermi amministrativi. Quello del dicembre 2023 riguardava un’operazione a cui io stessa ero presente. L'accusa a nostro carico era di non avere seguito le indicazioni dell'autorità competente della zona SAR. 

L’autorità competente era la cosiddetta Guardia costiera libica che, al nostro arrivo, non stava facendo alcun salvataggio, lasciando 43 persone in mare. Per questo motivo abbiamo recuperato quelle persone, mentre loro rimanevano fermi a guardarci. Sulla loro imbarcazione avevano già una quarantina di persone appena intercettate e che stavano per riportare in Libia. In quell’occasione ci è stato contestato di non aver permesso alla Guardia costiera libica di effettuare il salvataggio. 

Per quanto riguarda il secondo fermo, siamo stati assolti dalla corte di Crotone, anche se, nel frattempo, la nostra nave è dovuta rimanere ferma. 

Una preoccupazione ulteriore è che al terzo fermo amministrativo la legge prevede la confisca della nave. Anche se non è ancora accaduto, rimane aperta questa eventualità. 

Ovviamente il nostro scopo è quello di essere operativi per il maggior tempo possibile: operiamo in modo trasparente e in accordo con la legge, anche se questa cambia velocemente e dobbiamo essere sempre aggiornati. Ma è importante sottolineare che è davvero difficile lavorare in un contesto di assoluto ostruzionismo da parte delle autorità a diversi livelli. 

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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