In fuga da Kabul a Tirana

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Mentre il mondo è scosso per ciò che sta accadendo in Afghanistan, l’Europa sembra essere – per l’ennesima volta – bloccata di fronte a uno dei suoi dilemmi maggiori: l’accoglienza dei nuovi flussi migratori. Ma ormai è chiaro a tutti: non c’è più tempo per i dilemmi.

Le immagini delle persone disperate che cercano una via di fuga all’aeroporto di Kabul e quelle strazianti delle persone che precipitano nel vuoto dall’aereo americano in decollo a cui si erano aggrappati saranno, con tutta probabilità, solo il prologo della fuga di massa dal Paese.

Il giornale Guardian riporta che, solo nei 10 giorni precedenti alla conquista talebana di Kabul, 30.000 cittadini afgani al giorno abbiano lasciato il Paese.

E allora la ridondante domanda è tornata a tormentare i leader europei: chi accoglierà queste persone in fuga? I nodi, si sa, vengono sempre al pettine, ma l’Unione Europea avrebbe dovuto farsi trovare preparata già da un pezzo.

 La settimana scorsa, alcuni Paesi europei avevano dichiarato la loro intenzione di voler procedere comunque con l’espatrio di quei richiedenti asilo afgani la cui istanza era stata respinta. Tre di questi – Danimarca, Germania e Paesi Bassi – hanno cambiato idea alla luce dell’aggravarsi della situazione. Chi invece sembra essere irremovibile è il governo austriaco. Da Vienna dicono che il blocco dei rimpatri per gli afgani giocherebbe a favore dei trafficanti e del crimine organizzato che speculano sull’immigrazione illegale. Dunque, per bocca del ministro dell’interno austriaco Karl Nehammer, i rifugiati dovrebbero chiedere asilo in Paesi vicini a quello di origine. E d’altronde il 90% degli intervistati al sondaggio di un giornale austriaco approverebbe la linea dura del loro governo.

L’Italia, così come gli altri Paesi occidentali nel territorio, ha cominciato a rimpatriare i suoi, e quelli che hanno collaborato con l’ambasciata e la missione nel corso degli anni. Ma la società civile chiede a gran voce che si aprano dei corridoi umanitari, perché a rischiare la vita ci sono anche donne, bambini, anziani.

La gente comune insomma, a cui non è stata data alcuna alternativa. 

 Per il momento, e un po’ a sorpresa, a fare un passo deciso nella direzione dell’accoglienza sono due piccoli Paesi dell’area balcanica, Albania e Kosovo. I due Paesi si sono offerti volontari di fare la loro parte, dopo i colloqui segreti (riportati da Reuters) che l’amministrazione americana aveva avuto con una serie di Paesi il giorno di Ferragosto. Sembrerebbe che durante questi colloqui alcuni Paesi si fossero dimostrati riluttanti ad accogliere le persone evacuate a causa dei timori per la loro sicurezza nazionale.

Invece, i due Premier in carica di Albania e Kosovo, a cui si è aggiunta Macedonia del Nord, hanno accettato la richiesta degli americani di ospitare temporaneamente i rifugiati politici che chiedono asilo negli Stati Uniti, i quali verranno ospitati mentre saranno in attesa di approvazione della richiesta di visto.

 È stato riportato che l’Albania dovrebbe offrire rifugio temporaneo a circa 250 civili, mentre la Macedonia del Nord dovrebbe accoglierne circa 390 e un numero ancora incerto dovrebbe andare in Kosovo. Ma i numeri potrebbero essere diversi. Euronews fa sapere che Il primo gruppo di rifugiati politici sta arrivando all’aeroporto di Tirana-Rinas proprio nel momento in cui viene scritto questo articolo e che probabilmente verrà trasferito nella città di Berat. Nel frattempo l’esercito albanese ha provveduto a montare delle tende nell’area aeroportuale per le iniziali procedure di check-in. Nei prossimi giorni, ma non si conoscono le tempistiche, arriveranno altri cittadini afgani che dovrebbero essere ospitati a Tirana e Durazzo, dove si ipotizza la possibilità che vengano alloggiati in alcuni hotel della città costiera.

 Il Premier albanese Edi Rama, intervistato dal Guardian, ha dichiarato di sentirsi devastato nel vedere le persone lasciate indietro: «noi [albanesi] sappiamo cosa significa vivere sotto una dittatura e cosa significhi essere uno straniero che cerca rifugio da qualche parte. È quello che siamo, perciò è un onore e un dovere farlo.» Non c’è che dire: le dichiarazioni del leader di un piccolo Paese in via di sviluppo, che conta più o meno 4 milioni di abitanti (e con già un discreto numero di problemi interni da risolvere), deve aver lasciato di sasso molti leader delle grandi e ricche potenze occidentali. Edi Rama rincara la dose, dicendo di non capire come i Paesi ricchi possano girare la testa dall’altra parte, perché questo atteggiamento è contrario a ciò che l’Occidente va predicando. Il Premier albanese ha risposto su Twitter alle critiche che lo avrebbero accusato di avere offerto protezione agli afgani perché a chiederglielo sono stati gli alleati americani, affermando che le persone che verranno protette erano lì per la coalizione NATO (di cui l’Albania fa parte dal 2009) e condividendo gli stessi ideali di USA e UE.

 Passeggiando per la piccola cittadina di Argirocastro, non lontano dai confini con la Grecia, sento un commerciante che canzona il vicino di bottega, perché ignaro della vicenda. Dev’essere l’unico a non saperlo, dato che, da Tirana alle montagne, in questi giorni non si parla d’altro. Sembrano tutti un po’ stupiti all’idea che qualcuno cerchi rifugio qui. Ma se c’è anche solo una cosa che chi scrive ha capito della cultura popolare albanese, per alcuni versi amara, è che una tazza di buon caffè – ovviamente turco – non si nega a nessuno, specialmente a quelli in difficoltà. E così, a trent’anni dalla nave Vlora nel porto di Bari, gli albanesi si trovano dalla parte opposta, ad offrire quella tazza di caffè e un rifugio sicuro.

Quelle immagini di trent’anni fa sono rimaste impresse negli occhi di molti italiani, ma ancora di più in quelli di ciascun albanese. E gli albanesi, che in questa situazione dimostrano di non aver dimenticato la lezione della loro storia, lo sanno bene cosa sia la disperazione, la paura, o anche solo l’impossibilità di intravedere un futuro. Gli albanesi lo sanno, anche perché la loro emigrazione non si è più fermata e, nonostante il Paese progredisca velocemente, qui la gente comune continua a faticare per sbarcare il lunario.

Quello che gli albanesi, i macedoni e i kosovari forse non sanno è che per qualche ora la solidarietà di questo piccolo angolo ha dato l’esempio a tanti.

 Il timore degli europei sembra quello che si ripeta lo scenario del 2015, l’anno in cui un milione di profughi – per lo più siriani – avevano cercato rifugio in Europa attraverso la Grecia e i Balcani. Il 2015 portò all’esternalizzazione della gestione dei flussi tramite gli accordi con Turchia e Libia. Da allora migliaia di migranti, afgani compresi, sono rimasti bloccati sulle rotte migratorie e, in particolare, sulla rotta balcanica, subendo respingimenti a catena, violenze, fame, freddo.

Stavolta la domanda che si è posto il presidente albanese, un paese che da anni sogna di entrare a far parte del blocco europeo, risulta appropriata: possiamo noi occidentali – e in particolare noi europei – girare la testa dall’altra parte?

Maddalena D'Aquilio

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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