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I diritti violati lungo la rotta balcanica
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Foto: Unsplash.com
Abbiamo smesso di rivolgere lo sguardo al di là dell’Adriatico. Eppure ci sarebbero tanti motivi per farlo. Ce lo ricorda il dossier La Rotta Balcanica, i migranti senza diritti nel cuore dell’Europa, presentato la prima volta a marzo, ma in continuo aggiornamento. Il documento è scritto e curato dai componenti di “RiVolti ai Balcani”, una rete di 36 realtà impegnate nella difesa dei diritti umani dei migranti. Il lavoro di monitoraggio rivela che da questa parte dell’Adriatico i diritti umani sono l’ultima delle preoccupazioni. E quando si parla di diritti umani è necessario rompere il silenzio.
Già da molti anni l’Unione Europea aveva attuato l’esternalizzazione delle frontiere. Ma dal 2015 ha incrementato questa politica, delegando sempre più il compito di gestire i flussi migratori ai Paesi esterni alle frontiere europee. Lo scopo è di prevenire che i migranti partano. Nel 2016, ad esempio, ha stipulato un accordo con la Turchia, mettendosi nella posizione di poter essere ricattata dal governo turco, sebbene quest’ultimo abbia ricevuto miliardi di euro.
D’altra parte, l’Unione ha messo in atto una politica emergenzialista. Sono stati creati gli hotspot nei luoghi di primo ingresso, come sulle isole greche o a Lampedusa, dove vengono ammassati migliaia di disperati in attesa che l’emergenza si risolva. Il risultato è che migliaia di persone vivono in veri e propri luoghi di detenzione e contenimento, dove non sono contemplati standard igienico-sanitari minimi e le strutture sono al collasso.
Uno degli autori del dossier è Diego Saccora, operatore sociale. Diego è anche autore con Anna Clementi del libro Lungo la rotta balcanica. Storia dell'umanità del nostro tempo, 2016, Infinito Edizioni. Inoltre, Anna Clementi ha scritto Al amal. Nei campi greci con i profughi siriani, 2019, Infinito Edizioni. Diego e Anna hanno fondato l’associazione Lungo la Rotta Balcanica e l’omonimo blog. In questo spazio raccontano la situazione delle persone che intraprendono il viaggio per l’Europa via terra. Per farlo, sono tornati più volte nei Balcani. Hanno sentito le testimonianze dei migranti, parlato con la gente locale, si sono confrontati con le realtà associative e di volontariato. Soprattutto hanno visto quello che l’Europa evita di guardare ormai da tanto tempo.
Diego è tornato in Grecia per un viaggio di monitoraggio nell’estate del 2020, dopo la riapertura dei confini per i turisti. “Di fatto, il lockdown non è mai finito per i migranti bloccati sulle isole. A Lesbo, ad esempio, erano stati rilevati dei casi positivi tra i cittadini nella città di Mitilene, ma il primo caso riscontrato dentro il campo di Moria è stato i primi giorni di settembre. Eppure il campo era chiuso in lockdown dall’inizio della pandemia.”
Moria avrebbe potuto ospitare 3.000 persone, ma rinchiuse lì dentro ce n’erano 13.000. Il 3 settembre, Medici Senza Frontiere aveva nuovamente protestato contro questa quarantena di massa, mettendo in luce le gravi conseguenze sulla salute mentale dei pazienti. Chi non subirebbe conseguenze psicologiche vivendo una quarantena così prolungata? Ma l’appello è rimasto inascoltato.
Come se non bastasse, il campo è diventato oggetto di ripetute aggressioni squadriste. L’ultima è avvenuta qualche giorno prima dell’incendio che ha distrutto il campo. Diego era presente. “Eravamo a Lesbo quando c’è stato l’attacco fascista al campo di Moria. La polizia ha lasciato che queste persone agissero indisturbate. Ho anche chiesto ad alcuni abitanti del campo su che base potessero dire che gli autori erano squadristi. Loro mi hanno raccontato che gruppi di persone sono arrivate da dietro la collina, in modo evidentemente organizzato e li hanno attaccati. Hanno persino preso a sassate la clinica di MSF e appiccato un incendio. Purtroppo, non è la prima volta che si assiste ad azioni del genere sia contro i migranti, che contro le Ong. A me sembra che non si tratti più di criminalizzazione della solidarietà, ma che si stia andando oltre. La sensazione è che le istituzioni stiano avallando la violenza nei confronti di queste persone e di chi le vuole aiutare.”
Salvo poche eccezioni, da febbraio l’attenzione pubblica è stata distolta dalla questione immigrazione per concentrarsi sulla pandemia. L’informazione dà priorità all’emergenza del momento e ora i migranti non fanno comodo a nessuno. È servito un incendio su una piccola isola greca che ha messo in fuga 13.000 persone per ricominciare a parlarne. È servita la morte di un bambino di sei mesi nel Mediterraneo per accorgersi che, nel frattempo, la tragedia non si è mai fermata.
Diego ci spiega che in realtà non è proprio così: “In tutti questi mesi c’è stata una scientificità nel strumentalizzare alcuni aspetti relativi a chi sono i migranti, da dove arrivano e come. Oggi i migranti non sono più il nemico, oggi il nemico è il coronavirus. Quindi il governo greco si è servito della pandemia e ha usato la retorica “del migrante untore”, dicendo che sono i migranti a portare il Covid. Mentre era evidente che il virus si stesse propagando nelle zone turistiche”.
La propaganda è servita alle istituzioni per giustificare decisioni inaccettabili. “Alcuni campi nella Grecia continentale sono stati chiusi dopo che veniva trovato il primo contagiato. Ciò significa che bastava un caso positivo per mettere in quarantena 3.000 persone. Per di più, all’interno dei campi hanno creato ulteriori sottostrutture per i contagiati. Altri container recintati con il filo spinato, senza che i malati possano avere alcun tipo di privacy.” In pratica una prigione dentro un campo di detenzione.
“Se analizziamo le politiche migratorie del governo greco – ma il discorso vale per tutti i governi europei – sembra che abbiano l’obiettivo di dividere le persone in categorie, creare particolarismi, stratificare. Dividendoli si facilita il controllo.” I migranti sono sottoposti a un percorso a tappe che li mette su diversi livelli. E mentre ognuno di loro aspetta di superare lo step successivo, la loro vita scivola via in un’attesa che sembra infinita. Stare in isolamento dentro le baracche Covid è solo un livello in più da superare.
L’altra divisione è quella con la popolazione locale, completamente abbandonata ed esasperata dalla situazione. Un metodo che funziona ovunque. “Ogni giorno ci ripetono di pensare a noi stessi, alla nostra salvaguardia e a quella della nostra piccola cerchia. Così facendo si alimenta il conflitto sociale.” In questo senso il virus è stato un elemento utile ai governi.
Lungo tutta la rotta balcanica continuano le violazioni di cui pochi mezzi d’informazione stanno dando conto. In tutta la penisola, dalla Grecia al Friuli-Venezia Giulia, gli Stati respingono in modo illegale i migranti e li rinchiudono in capannoni e fabbriche abbandonate, cercando di tenerli lontani dai centri abitati. Diego – che in queste zone ha vissuto e operato – ci racconta che in Bosnia e in Serbia la legge vieta di prestare soccorso a queste persone, a meno che a farlo non siano Ngo registrate. Quindi, da un paio d’anni è diventato davvero difficile lavorare.
I migranti rischiano il tutto per tutto pur di raggiungere il cuore dell’Europa. Un viaggio lungo e pericoloso. Superare il confine, soprattutto quello croato, è chiamato il “game”. E proprio come se fossero in un videogioco, si muovono di nascosto nelle foreste, dormono in giacigli improvvisati, bussano alla porta della gente locale per chiedere qualcosa da mangiare. La cosa più importante è cercare di eludere le polizie di frontiera; perché essere catturati significherebbe essere ricacciati indietro in una catena di pushback (respingimenti) che nulla hanno a che fare con il rispetto della dignità umana e che li riporterebbe quasi al punto di partenza.
A provarlo è, ad esempio, un articolo del Guardian uscito pochi giorni fa. Solo in una settimana – quella tra il 12 e il 16 ottobre – il Danish Refugee Council (DRC) aveva denunciato una serie di violazioni compiute dalla polizia croata su dozzine di migranti al confine bosniaco-croato. Pestaggi, frustate, sottrazioni degli effetti personali e persino una violenza sessuale. Le immagini che ritraggono le ecchimosi delle violenze, accompagnate dai report medici e dalle testimonianze delle vittime sono scioccanti.
Il giornale britannico riporta un episodio che ha coinvolto 5 Afghani, di cui due minori, fermati dalla polizia croata al confine con il cantone bosniaco Una-Sana. Uno del gruppo sarebbe riuscito a scappare. Così gli altri quattro, dopo l’interrogatorio in una stazione, raccontano di essere stati portati in un luogo sconosciuto. Ad attenderli c’erano 10 agenti croati in uniforme nera, con anfibi e volto coperto. I migranti sarebbero stati immobilizzati, derubati, denudati e frustati. Li hanno presi a calci e pugni. Uno di loro è stato violentato con un ramo.
A giugno, il Guardian aveva riportato che il governo croato non aveva monitorato la polizia, nonostante i fondi elargiti dall’Unione a questo scopo. Diego commenta: “Sono almeno 3 anni che i corpi di polizia di frontiera di vari Stati, in primis quella croata, sono accusati di commettere pushback violenti, abusi e trattamenti disumani e degradanti, con il preciso intento di respingere i migranti e dissuaderli a non riprovarci. Quindi, suona molto strano che i report di tante Ngo non siano arrivati sui tavoli della Commissione”.
In effetti, l’inchiesta di giugno del giornale britannico metteva in luce che alcuni funzionari della Commissione potessero aver insabbiato la questione. Dopo la denuncia di DRC sui maltrattamenti di ottobre, il mediatore dell’Unione Europea ha aperto un’indagine ufficiale contro la Commissione Europea, accusata di non avere protetto i diritti dei migranti, pur continuando a dare fondi al governo di Zagabria. Bisognerà attendere, invece, per capire se e come funzionerà il meccanismo indipendente di controllo relativo ai respingimenti illegali previsto dal nuovo Patto europeo su migrazione e asilo.
“Molto spesso, durante gli incontri pubblici che facciamo”, continua Diego, “ci chiedono perché l’Europa non faccia nulla. E la nostra risposta è sempre la stessa. L’Europa in realtà fa. Perché la guardia costiera greca, la polizia greca o croata sono polizie europee. Frontex è un’agenzia europea. Quindi l’Europa fa eccome.”
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.