www.unimondo.org/Guide/Guerra-e-Pace/Conflitti/I-diritti-violati-lungo-la-rotta-balcanica-Croazia-prima-parte-224744
I diritti violati lungo la rotta balcanica: Croazia (prima parte)
Conflitti
Stampa

Foto: Unsplash.com
Riprendiamo il nostro viaggio lungo la rotta balcanica, attraverso gli occhi e le parole della società civile, che continua a lavorare per la tutela dei diritti delle persone migranti. Dopo avere inquadrato la situazione (qui le parole di Diego Saccora) e raccontato la situazione in Bosnia Erzegovina (qui l’intervista a Silvia Maraone), ci soffermiamo ora sulla Croazia. Ne abbiamo parlato con Maddalena Avon del CMS – Centar za Mirovne Studije (Centro Studi per la Pace) di Zagabria.
MD: Ripartiamo da quell’ottobre 2020, quando il Guardian riportava le violazioni denunciate dall’organizzazione Danish Refugee Council. In una settimana ci furono una serie di respingimenti violenti da parte della polizia croata…
MA: Nel dicembre 2020, dopo aver ascoltato e supportato i sopravvissuti a quelle torture, il nostro Centro ha presentato, assieme a loro, due denunce formali relative a quegli episodi. Dapprima, due persone in uniforme della polizia croata avevano tenuto in detenzione tredici persone, di cui due minori. I migranti vennero poi “passati” ad altri dieci uomini armati, vestiti di nero e con il volto coperto dai passamontagna. Questi avevano respinto i tredici migranti con i metodi che conosciamo. In uno dei casi presentati, le torture includevano anche lo stupro.
MD: Che tipo di violazioni incontrate?
MA: Attraverso i racconti delle vittime, assistiamo a violazioni sia fisiche, che psicologiche. Vediamo persone tenute in detenzione per giorni, lasciate senza cibo, acqua e senza la possibilità di usare i servizi igienici. Ci raccontano di diversi tipi di privazione delle libertà personali che includono la confisca dei beni (perlopiù cellulari, pawerbank e soldi). Ma assistiamo anche ad atti davvero infimi, come quello di privare i migranti delle scarpe e costringerli a ritornare, scalzi e nella neve, in Bosnia. C’è stato il caso di Alì, una persona migrante che ha perso i piedi a causa della gangrena da congelamento.
Queste violenze sono sistematiche e sono perpetrate da corpi di polizia, cioè rappresentati di uno Stato che, per di più, è membro dell'Unione Europea, che si spaccia per una comunità che rispetta i diritti umani. Non soltanto è doveroso e necessario denunciare, ma è doveroso e necessario dare voce alle vittime a cui la voce è stata tolta anche per mezzo delle politiche europee. Politiche che non vediamo andare nella direzione della protezione dei diritti umani.
MD: Come avviene il processo di denuncia?
MA: La denuncia formale è un atto che richiede tempo per diversi motivi. In primo luogo, le persone migranti sono state respinte e non sono fisicamente in Croazia. Spesso, queste persone non parlano una lingua in comune con noi e quindi c’è bisogno dei traduttori. Inoltre, parliamo di persone estremamente traumatizzate, che hanno subito vere e proprie torture e, perciò, si rende necessario un supporto psicologico. Dunque possono passare mesi dal momento della violazione al momento della denuncia. Purtroppo, queste tempistiche possono essere un problema, dato che le Corti hanno tempi ristretti per la ricezione delle denunce.
Quindi, il nostro lavoro, oltre che tecnico, è anche e soprattutto molto umano. La comunicazione che intercorre con queste persone è fondamentale: abbiamo il dovere di spiegare alle vittime che sporgere denuncia non significherà necessariamente ottenere giustizia. Infatti, l’atto di denunciare vuol dire fare parte di un percorso più ampio. Un percorso che, forse, solo in un futuro (anche lontano) troverà giustizia. Di conseguenza, è comprensibile che, a volte, gli stessi migranti non vedano l’utilità di intraprendere le vie legali contro uno Stato.
Infine, è fondamentale sottolineare che il nostro Centro è parte di un ingranaggio molto più grande. Si tratta di una rete di tante organizzazioni, attivisti, volontari, giornalisti, componenti della società civile e anche alcune istituzioni che sono in prima linea da anni nella cooperazione transfrontaliera. Ciascuno contribuisce a questa lotta per i diritti umani. Una lotta che non è finita e non finirà domani.
MD: A che punto sono le indagini per i casi denunciati?
MA: Dal 2017 ad oggi, come CMS abbiamo sporto dodici denunce per violenza, di cui dieci riguardano respingimenti e tre di questi sono alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Due di questi sono ancora pendenti, ma sappiamo che i tempi sono lunghi (dai cinque ai nove anni). Il caso vinto è quello di Madina Husseini, la bambina afghana di sei anni uccisa da un treno nel 2017, dopo essere stata respinta in Serbia da parte della polizia croata. A novembre, la Croazia è stata riconosciuta colpevole e condannata dalla Corte europea. La vittoria alla CEDU non sarebbe stata possibile senza il supporto dell’avvocata e dell’organizzazione Asylum Protection Center in Serbia.
Tuttavia la soddisfazione per la vittoria legale non restituisce una bambina alla sua famiglia. Una vita stroncata a causa della violazione dei suoi diritti di bambina e di rifugiata.
Per quanto riguarda i dieci casi fermi a livello nazionale, stiamo cercando di capire come poter dimostrare che in Croazia c’è un problema di trasparenza e stato di diritto. Infatti, di tre casi presentati non sappiamo nulla né delle indagini, né dei loro risultati e le vittime non sono mai state chiamate a testimoniare.
MD: Cosa include il lavoro del CMS?
MA: Il CMS nasce nel 1994 dal basso. Nel post-conflitto, un gruppo di volontari cominciò ad organizzarsi partendo dalla regione della Slavonia. Inizialmente si trattava di un lavoro di ricomposizione e ricostruzione delle comunità locali dopo la guerra e, ad oggi, ci occupiamo di educazione alla non-violenza e di lotta al razzismo e alla discriminazione. Noi non siamo un’organizzazione che, semplicemente, offre dei servizi a dei beneficiari; ma vogliamo essere un collettivo di esseri umani che, attraverso il supporto tra pari, contribuisce ad una nuova idea di comunità, di stare insieme.
Nell’ambito della migrazione, il lavoro è complesso e abbraccia diversi aspetti: il supporto per le questioni burocratiche e l’assistenza legale in fase di richiesta d’asilo; il supporto per imparare una nuova lingua; la ricerca del lavoro e, più in generale, la gestione di tutti quegli aspetti che comportano il trovarsi in una realtà completamente diversa da quella di origine, ma con un bagaglio estremamente traumatico.
Eppure, tutto questo lavoro è tristemente arretrato alla prima casella, perché la richiesta d’asilo e la sua negazione di fatto è il primo elemento che è venuto a mancare. Ed è incredibile che la Croazia – con una prima legge sull’asilo nel 2004 e l’accesso alla UE nel 2013 – non riconosca e garantisca questo diritto.
Ad ogni modo, ci teniamo sempre a sottolineare che questo fenomeno – quello del mancato rispetto dei diritti dei migranti – va oltre i confini croati. Si tratta di un fenomeno europeo, se non globale.
In ambito europeo, sembra che ci sia davvero un problema di politiche e di pratiche. Un problema che è evidente quando sentiamo le istituzioni ringraziare Stati membri, come la Croazia, per l’enorme lavoro nella protezione dei confini europei.
Da anni, la narrazione europea della migrazione si è spostata dalla protezione del migrante, alla protezione dal migrante. Un processo iniziato con la securitizzazione generale del fenomeno migratorio: lo abbiamo visto con i muri e i fili spinati, gli eserciti al confine, le persone lasciate affogare nel Mediterraneo e – contemporaneamente – le mani piene di soldi tese a Stati come Turchia e Libia. Il nuovo Patto europeo sull’asilo che è sul tavolo, ci indica che non stiamo andando verso un futuro migliore.
Fa paura e rabbia vedere che non tutte le voci valgono allo stesso modo e, in particolare, che le voci delle persone migranti non vengano nemmeno considerate, o che chi prova ad opporsi venga tacciato e criminalizzato...
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.