Global Compact o global trick?

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E' stata adottata per acclamazione lo scorso 25 giugno nella sede delle Nazioni Unite la "New York Declaration by Business" (in.pdf), il documento finale redatto al termine del Vertice mondiale Global Compact che si svolge ogni tre anni. Iniziativa sotto egida ONU che promuove la crescita sostenibile d’impresa e che quest'anno compie dieci anni. La sessione plenaria del vertice mondiale del Global Compact è stata aperta dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon e dal sindaco di New York, Michael Bloomberg. Tra i relatori, nelle due giornate di lavori, figurano tra gli altri Paul Polman, amministratore delegato di Unilever, Jose’ Sergio Gabrielli de Azevedo Ceo di Petrobras, Anne Lauvergeon, numero uno di AREVA e Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni.

Nata nel 2000 su spinta dall'allora Segretario Generale ONU Kofi Annan, il Global Compact è un’iniziativa volontaria strutturata come una partnership pubblico-privato tra le Nazioni Unite, le imprese, i governi e la società civile con lo scopo - almeno dichiarato - di promuovere un codice etico nell’economia di mercato che copre tutte le aree critiche: dal rispetto dei diritti umani ai diritti dei lavoratori, dalla lotta alla corruzioni alla tutela dell’ambiente, incoraggia le imprese di tutto il mondo a creare un quadro economico, sociale ed ambientale atto a promuovere un'economia mondiale sana e sostenibile che garantisca a tutti l'opportunità di condividerne i benefici.

Per far parte del Global Compact si richiede alle aziende e alle organizzazioni che vi aderiscono, di condividere, sostenere e applicare nella propria sfera di influenza un insieme di principi fondamentali, relativi a diritti umani, standard lavorativi, tutela dell'ambiente e lotta alla corruzione. Nello specifico si basa su 10 punti fondamentali: alle imprese è richiesto di promuovere e rispettare i diritti umani universalmente riconosciuti nell'ambito delle rispettive sfere di influenza; di assicurarsi di non essere, seppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani; di sostenere la libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva; di contribuire all'eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio; l'effettiva eliminazione del lavoro minorile; l'eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impiego e professione; di sostenere un approccio preventivo nei confronti delle sfide ambientali; di intraprendere iniziative che promuovano una maggiore responsabilità ambientale; di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettino l'ambiente; di contrastare la corruzione in ogni sua forma, incluse l'estorsione e le tangenti.

Un'iniziativa volontaria nata sull'onda delle teorie di alcuni economisti che negli anni '80 hanno iniziato a parlare di responsabilità sociale d'impresa, sostenendo che l'obiettivo di un'azienda non doveva essere solo il profitto, ma anche l'attenzione alle persone, all'ambiente, insomma una visione d'impresa sostenibile che ha prodotto anche uno strumento importante e oggi largamente diffuso: il bilancio sociale.

Il Global Compact ha cercato di mettere insieme tutte i progetti che vanno in questa direzione, inquadrando, promuovendo e sollecitando un modello di impresa sostenibile. Iniziativa lodevole, se non fosse che non prevede nessun tipo di selezione all'ingresso, né un monitoraggio periodico, in sostanza per farne parte basta una dichiarazione d'intenti e spesso una lauta quota di partecipazione per vedere il proprio logo associato a quello delle Nazioni Unite. Il programma è infatti oggetto di critiche da parte di numerose Organizzazioni non-governative per la mancanza di un sistema che garantisca l'effettivo rispetto dei principi sanciti nel contratto da parte delle Compagnie. CorpWatch, organizzazione non governativa americana, accusa numerosi partecipanti di usare il Global Compact come uno strumento di relazioni pubbliche di facciata mentre si violano i principi di comportamento responsabile delle Compagnie.

E gli esempi di partner quantomeno dubbi non mancano. Basti pensare che tra i suoi membri fondatori figura anche BP, il colosso petrolifero britannico protagonista del disastro ambientale nel Golfo del Messico. Secondo Vincenzo Comito di Finasol gli “accadimenti scatenati dalle maldestre azioni della BP non hanno solo portato all’inquinamento di un vasto tratto di mare e di coste negli Stati Uniti, essi hanno fatto anche crollare al suolo il castello di carte che era stato creato intorno alla questione ambientale”. Il sito ricorda come la BP abbia vantato per molti anni le sue credenziali verdi, arrivando persino a cambiare il suo marchio, le sue campagne pubblicitarie, il suo sito internet, i colori delle sue stazioni di servizio e dei veicoli di trasporto, per diffondere l’idea che l'azienda, nello svolgimento dei suoi affari, fosse diventata un campione indiscusso della sostenibilità ambientale, anche pubblicando il suo rapporto di sostenibilità e raccontando dei grandi progressi fatti nel tempo.

E la BP non è certo l'unica azienda di dubbia eticità a far parte del Global Compact. Emblematico il caso della Bayer al centro delle critiche e di campagne che alcuni anni fa ne richiedevano l'estromissione dal Global Compact per comportamenti contrari ai principi del patto.

Anche l'italiana ENI ne fa parte ed è anche tra le fondatrici del Network per il Global Compact in Italia che raccoglie oggi circa 200 realtà tra aziende, ong e istituzioni. “Sostenibilità e impresa possono andare mano nella mano - ha sottolineato l'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, nel suo intervento al Global Compact - l'Eni possiede tutte le carte per giocare un ruolo effettivo nello sviluppo sostenibile - ha spiegato Scaroni - specialmente in relazione alle sfide contenute nel Obiettivi di Sviluppo del Millennio". Peccato che proprio ENI sia sotto accusa da varie campagne per le numerose violazioni dei diritti umani e per danni ambientali nelle zone in cui opera, sopratutto in Africa e Sud America.

Della piattaforma italiana fanno parte anche numerose Ong e realtà sociali come Cittadinanzattiva che è stata la prima coordinatrice,oggi ne fanno anche Alisei, Movimondo, Cipsi, Coopi. Vorremmo chiedere a queste associazioni - diverse delle quali sono partner di Unimondo - come possano condividere lo stesso spazio con aziende spesso accusate di violare i diritti umani, di calpestare quelli dei lavoratori e responsabili di numerosi disastri ambientali, e se hanno mai fatto le necessarie pressioni affinché venga imposta una seria regolamentazione e un rigoroso monitoraggio e reporting delle attività delle aziende che aderiscono al Global Compact.

L'iniziativa ONU fa riflettere sull'opportunità di questo tipo di progetti a carattere volontario. Alla luce delle numerose responsabilità di cui sono accusate tutti i giorni le stesse aziende partner del Global Compact riteniamo più indicato un impegno per la messa a punto di un vero codice di responsabilità, con regole precise, condivise e vincolanti per tutti, e sopratutto l'attuazione di sistemi di controllo e monitoraggio facilmente verificabili da organismi super-partes a scadenze prestabilite. Regole e modalità di cui non si rintraccia menzione negli 11 punti della dichiarazione di New York che, in fondo, si limitano a rinnovare impegni già presi dieci anni fa.

Elvira Corona
(Inviata di Unimondo)

Crediamo che un confronto su questi temi con le associazioni che hanno aderito al Global Compact sia necessario e siamo disponibili ad ospitare il dibattito su Unimondo.

 

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