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Honduras: nel mirino del golpe la società civile
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A un mese dal colpo di stato che ha deposto il presidente eletto Manuel Zelaya e instaurato una dittatura in Honduras, la situazione è ancora molto complicata, e nonostante le condanne e l'isolamento internazionali (più minacciato che attuato), il governo de facto guidato dall'imprenditore Roberto Micheletti continua a impedire il rientro di Zelaya, tentato per l'ultima volta sabato scorso. E man mano che il tempo passa le tensioni e le preoccupazioni aumentano, nel mirino del governo golpista ci sono sopratutto le organizzazioni della società civile. Sono loro che stanno mettendo un atto una forte resistenza ai golpisti e chiedono a gran voce il rientro del loro presidente.
E' di sabato pomeriggio la notizia del sequestro tra gli altri di Rafael Alegria, leader hondureño di Via Campesina - il movimento internazionale che raggruppa le organizzazioni contadine e di lavoratori agricoli di tutto il mondo. Alegria è stato arrestato durante una manifestazione pacifica nella zona vicino ad Alauca, nella strada per la frontiera verso las Manos, la cittadina nicaraguense dove si trovava Zelaya. Il leader gode di una speciale protezione da parte della Corte Interamericana per i Diritti Umani, ragione per cui le autorità non avrebbero potuto nè arrestarlo nè trattenerlo. Il leader è stato rilasciato dopo alcune ore (le autorità ne hanno giustificato il trattenimento perchè avrebbe violato il coprifuoco), ma l'avvertimento sembra essere chiaro.
Via Campesina denuncia le violazioni dei diritti umani e le persecuzioni contro chi si oppone ai golpisti. L'obiettivo sembra essere chiaro, per Mabel Maruqez, portavoce di Via Campesina che parla anche a nome del Fronte di Resistenza contro il Golpe: destabilizzare il movimento sociale hondureño, arrestandone i leader. Per sabato era previsto il rientro in patria di Zelaya, e i preparativi per accoglierlo erano già in moto da tempo. Il 24 luglio tantissime persone si sono messe in marcia per arrivare fino a El Paraiso - la località di frontiera - dove ad attenderlo dove c'erano anche la moglie Xiomara Castro e la sua famiglia. Numerosissimi i posti di blocco nella strada che da Tegucigalpa porta a El Paraiso, chi ha partecipato alla marcia ne ha contato almeno 14. Sono state fermate auto, bus, eseguiti controlli e trattenute molte persone. Non solo, il governo aveva imposto il coprifuoco a El Paraiso già dalle 12 di sabato e poi per tutta la giornata di domenica, estendendolo ancora fino alle 20 di lunedi.
Nonostante il quasi completo disinteresse da parte dei media italiani, la situazione nello stato centroamericano è molto complicata e difficile, sopratutto per i settori popolari della nazione. Vengono denunciati costanti attacchi contro il popolo che resiste, poliziotti e militari girano con armi, bombe, lacrimogeni. Dirigenti sociali costretti alla clandestinità tra le montagne del paese per evitare arresti e torture. Radio Globo sta lanciando una campagna di raccolta viveri da far arrivare a queste persone. Via Campesina denuncia anche che “mentre molte persone versano in condizioni di salute precarie, la Croce Rossa hondureña utilizza i propri mezzi per trasportare le armi per conto del governo di Micheletti, e che verranno usate contro il popolo”.
Zelaya ha dichiarato che rimarrà alla frontiera “finchè sarà necessario” e molte persone rimarranno alla frontiera ad aspettarlo. Insieme a loro però anche tre mila tra poliziotti e militari in assetto di guerra. Intanto un'altra vittima è stata trovata proprio al confine, si tratta del corpo di Pedro Magdiel Muñoz, un giovane di 23 anni. Il cadavere aveva segni di tortura. Secondo Radio Globo - l'unico mezzo di informazione che sta seguendo la situazione alla frontiera - il giovane sarebbe stato detenuto dalla polizia il giorno prima del ritrovamento, da allora nessuno lo aveva più visto. I zelayistas, presentavano il corpo come quello del nuovo martire della resistenza popolare, contro la dittatura perpetrata da Roberto Micheletti y dal generale Romeo Vázquez.
Anche la Commissione interamericana dei Diritti Umani, è intervenuta per condannare ufficialmente l'omicidio del giovane. L'istituzione internazionale ha condannato la morte del ragazzo e ha preteso "che si investighi questo crimine e si puniscano i responsabili". Tre settimane fa un altro giovane hondureño - Isis Obed Murillo Mencias - era stato ucciso durante le manifestazioni all'aeroporto di Tegucigalpa per primo dei rientri - annunciati e poi falliti - di Zelaya. Questa è l'unica vittima riconosciuta dal governo, ma secondo un documento pubblicato pochi giorni fa dopo una missione internazionale di organizzazioni per i diritti umani, ci sarebbero sei vittime confermate, oltre quella dell'ultimo giovane, 1275 arresti durante i coprifuoco 20 arresti arbitrari di cittadini stranieri. Tra le vittime anche il giornalista hondureño di Radio Estelar Gabriel Fino Noriega, assassinato per mano di forze paramilitari. La stessa delegazione ha accertato che a Tegucugalpa Canal 36, Radio TV Maya e Radio Globo sono state militarizzate, con minacce di morte ai giornalisti, il blocco delle trasmissioni, i telefoni sotto controllo e il blocco all'accesso di internet.
Dal Dipartimento di stato americano - esortato nel fine-settimana da Zelaya ad assumere una posizione più “salda” di fronte ai golpisti - è invece giunto un appello al presidente deposto affinché “consenta che il processo politico vada avanti”. Secondo il portavoce Ian Kelly, il nuovo tentativo di rientrare in Honduras intrapreso da Zelaya senza accordi con il governo ‘de facto’ di Micheletti “non aiuta” la mediazione del presidente del Costa Rica Oscar Arias, già considerata fallita da più parti. Ad appoggiare Zelaya invece sembrano essere i capi di stato riuniti pochi giorni fa in Paraguay per un vertice del Mercosur, il mercato comune del Sudamerica. “Sosteniamo gli sforzi della comunità internazionale affinchè Zelaya torni al potere” - ha detto il presidente brasiliano Luis Ignacio Lula da Silva. Sulla stessa linea il capo di stato argentino, Cristina Fernandez, secondo il quale “la legalizzazione di un golpe segnerebbe la fine dell’Organizzazione degli stati americani e della Carta democratica del Mercosur”.
Intanto forse anche all'interno dei golpisti il terreno inizia a scricchiolare visto che le forze armate dell’Honduras si sono pronunciate a favore dell’opera di mediazione portata avanti dal presidente della Costa Rica Oscar Arias. “Come istituzione, sosteniamo una soluzione alla problematica che attraversa il nostro paese mediante un processo di negoziato nell’ambito dell’Accordo di San José. Reiteriamo inoltre il nostro appoggio incondizionato ai risultati della stessa trattativa, in base alla nostra Costituzione e alle altre leggi”.
L’Accordo di San José, a cui fanno riferimento i militari, prevede, principalmente, la formazione di un governo di unità nazionale guidato dal presidente deposto Manuel Zelaya, che dovrà restare alla presidenza fino alla scadenza naturale del suo mandato nel gennaio 2010, e l’anticipo al 28 ottobre delle elezioni presidenziali e legislative previste a novembre; include anche la rinuncia a convocare un’assemblea costituente o a riformare in qualche modo la Costituzione, all’origine della destituzione di Zelaya, il 28 giugno scorso. Riaffermando la loro “subordinazione all’autorità civile” le forze armate hanno concluso la breve nota diffusa da Tegucigalpa ribadendo che continueranno ad adempiere a quanto previsto dalla Costituzione. Zelaya si è rivolto alle file intermedie dell'Esercito, invitandole a ribellarsi al capo e a unirsi a lui: "Come comandante in capo chiedo ai soldati patrioti che pensino a loro figli, alle loro famiglie e si ribellino a Romeo Vazquez, traditore del popolo".
Intanto, ieri, sollecitati ad aumentare la pressione nei confronti del governo ‘de facto’, gli Stati Uniti hanno annunciato la revoca dei visti diplomatici a quattro esponenti dell’esecutivo guidato da Roberto Micheletti e la “revisione” dei restanti membri del gabinetto: “Noi non riconosciamo Roberto Micheletti come presidente dell’Honduras” – ha affermato Ian Kelly, portavoce del Dipartimento di stato americano.
Elvira Corona