Elinor Ostrom: l’alternativa comunitaria

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Elinor Claire Awan, conosciuta a tutti col cognome del marito e collega Vincente Ostrom è stata la prima donna a ricevere il premio Nobel per l’Economia, nonostante la sua formazione sia più vicina alle Scienze Politiche. Era il 2009 e si iniziava a percepire che la crisi economica e finanziaria globale non ci avrebbe lasciato presto. Ci ha lasciato prima lei, lo scorso 12 giugno, ma solo dopo avere condiviso la sua eredità con tutti noi: i suoi studi e le sue teorie per un buon governo dei beni comuni.

Il riconoscimento le era stato dato, insieme all’economista Oliver Williamson, per i suoi studi sul governo delle risorse senza proprietari. “La nostra università ha perso un magnifico ed insostituibile tesoro”, si legge sul sito dell'Università dell’Indiana, dove l’economista dirigeva insieme al marito, il Centro di ricerca di studi e analisi politica Vincent and Elinor Ostrom.

La popolarità e l’apprezzamento della Ostrom si devono soprattutto a quello che i curatori dell’edizione italiana del suo Governare i beni collettivi del 1990, chiamano il suggerimento liberatorio, la constatazione cioè che la gestione delle risorse comuni sia non una claustrofobica sequela di rigide scelte dicotomiche tra pubblico e privato o tra organizzazione e anarchia, ma la ricerca di soluzioni ottimali su un continum di infinite combinazioni possibili. Partendo dallo studio di casi empirici, nei quali viene mostrato come gli individui reali non siano condannati a rimanere imprigionati nei problemi legati allo sfruttamento in comune di una risorsa, si mette in discussione soprattutto l’idea che esistano dei modelli applicabili universalmente. Secondo la premio Nobel le opzioni presentate nei tradizionali modelli binari costituiscono solo gli estremi dell’insieme di queste possibili soluzioni organizzative. Si parla dei fruitori dei beni (appropriators) come anche dei migliori gestori degli stessi proprio perché consci dell’interesse comune, ma capaci anche di massimizzarne i propri utili attraverso azioni caratterizzate da cooperazione e da un sistema di allocazione equo. La comunità per lei è in grado di autoregolarsi perché gli interessi, le pratiche e la sperimentazione degli errori sono comuni. La comunicazione è costante e le competenze che possono essere sviluppate sono elevate. Insomma una via alternativa a quella dello Stato e del privato, che si ispira ai beni delle comunità, in questo caso non c’è un diritto di proprietà esclusivo ma una responsabilità collettiva.

Altro aspetto interessante del pensiero della Ostron è la questione del local empowerment. Oggi forse più conosciuto grazie allo slogan think globally and act locally, ma che altro non è se non la autogestione locale delle risorse, sopratutto quelle naturali, ma non solo come per esempio il web. Nelle sue teorie la comunità è capace di autoregolarsi meglio sia rispetto al caso di privatizzazioni sia al caso di gestione statale dei beni (in.pdf). Ma la cosa forse più interessante di tutte è che a queste conclusioni non è giunta dalla scrivania del suo ufficio all’università, ma analizzando casi concreti provenienti dalle più disparate aree del mondo. Dalla Mongolia alla Nuova Scozia, dallo Sri Lanka alla sua California. Esempi pratici, già funzionanti confrontati e sviscerati fino a capire che ogni comunità si adatta a seconda della proprie caratteristiche e dei propri bisogni e non esistono delle regole comuni a tutte. Il linguaggio semplice e divulgativo sempre utilizzato dalla economista/scienziata politica è un chiaro segnale di volersi avvicinare anche ai più inesperti sulla tematica, con la speranza di convertire anche gli scettici alla possibilità di “redenzione comunitaria” ed “enviromentally friendly”, anche in assenza di un controllore esterno.

Oggi più che mai attuali, le sue teorie appaiono utili nel dibattito per la gestione delle risorse per lo più affidate a grandi gruppi che hanno il solo scopo del profitto. Acqua, terra, solo per fare gli esempi più eclatanti sono oggi motivo di battaglie per la riappropriazione comunitaria. Proteste e battaglie che nel corso degli ultimi decenni sono state spesso criminalizzate e represse ma che continuano - attraverso forme diverse - a contribuire a un ripensamento del sistema attuale e all’importanza della partecipazione attiva di tutti gli attori sociali. Non sembra esagerato dire che il pensiero della Ostrom ha senza dubbio dei punti di contatto con il pensiero anarchico, ma lei ha sempre messo in evidenza sopratutto l’importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e rispettate perché percepite come giuste.

Solo qualche mese fa il Time l’ha inclusa nella classifica delle 100 persone più influenti al mondo, l’auspicio è che altre persone come lei scalino presto la classifica, e non solo del Time.

Elvira Corona (autrice di Lavorare senza padroni, Emi edizioni)

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