Incidenti che sarebbe meglio chiamare omicidi

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Foto: Unsplash.com

In Africa il Sahel e il bacino del Lago Ciad sono da anni teatro di una delle crisi che cresce a ritmi più rapidi su scala mondiale e che registra la fuga di milioni di civili dalle aggressioni indiscriminate perpetrate da gruppi armati mediante esecuzioni sommarie, la pratica diffusa dello stupro delle donne, e attacchi contro le istituzioni statali, comprese scuole e strutture sanitarie. Secondo l’United Nations High Commissioner for Refugees (Unhcr) questi non sono gli unici pericoli ai quali sono esposti migranti e rifugiati interni visto che “Dall’inizio del 2020, si è registrato un crescente numero di incidenti fatali causati da mine, ordigni inesplosi (UXO) e ordigni esplosivi improvvisati (IED) che hanno coinvolto le popolazioni costrette alla fuga”. È questo l’allarme lanciato dal portavoce dell’Unhcr Babar Baloch che in luglio ha spiegato durante una conferenza stampa on line che “Anche se gli obiettivi di molti gruppi armati antigovernativi e non statali sembrano essere le forze di sicurezza, sempre più civili vengono uccisi e mutilati indiscriminatamente”, tanto che in relazione a queste armi è sempre più difficile parlare di incidenti. Forse sarebbe meglio chiamarli omicidi.

L’Unhcr continua a supportare le persone ferite e le famiglie delle vittime e contribuisce allo svolgimento dei funerali delle vittime e assicura sessioni di sostegno psicosociale rivolte ai sopravvissuti, bambini compresi, ma la presenza di ordigni esplosivi ostacola l’accesso ai mezzi di sussistenza locali quali pascoli, campi, fattorie, legna da ardere nonché alle infrastrutture comunitarie, oltre a condizionare anche la consegna di aiuti umanitari e lo svolgimento di attività per lo sviluppo. Dal punto di vista della prevenzione l’Agenzia Onu interagisce coi rappresentanti delle comunità locali e di profughi per sensibilizzare in relazione ai rischi posti dagli ordigni inesplosi, ma per Baloch  “Sono necessari con urgenza sforzi volti a gestire i pericoli rappresentati dalle mine e a sensibilizzare maggiormente in merito all’orribile minaccia derivante da mine, residui bellici esplosivi e ordigni esplosivi improvvisati. È essenziale che i governi, le organizzazioni umanitarie e le parti in conflitto intensifichino le loro attività di azione contro le mine e ordigni inesplosi ostacoli decisivi alla possibilità di fare ritorno in condizioni sicure e dignitoseconsiderato che rappresentano pericoli letali per rifugiati e sfollati che fanno ritorno, anche negli anni successivi alla fine dei conflitti”. In Ciad l’ultimo incidente di questo tipo di cui si abbia notizia certa, è avvenuto il 24 giugno scorso in un campo rifugiati, dove 4 bambini di età compresa tra 9 e 12 anni sono rimasti uccisi e altri tre gravemente feriti quando hanno raccolto da terra un ordigno inesploso tentando di aprirlo.

Se nella Nigeria nordorientale sono stati registrati più di 15 incidenti per mine e affini nel corso del 2020, in Niger cinque incidenti hanno provocato la morte di almeno cinque rifugiati, lasciandone feriti molti altri dall’inizio dell’anno. Come ha ricordato Baloch nella regione di Diffa, “due furgoni sono passati sopra ordigni esplosivi presso il paese di Bosso, in occasione di due incidenti separati avvenuti a febbraio e a marzo. Le esplosioni hanno ucciso quattro persone, compresi tre studenti in età di scuola superiore, e ferendone molte altre, tra cui un neonato di 10 mesi”. Il 21 gennaio 2020 è toccato a due ragazzi Burkina Faso dove un abitante locale e un amico rifugiato, hanno raccolto un razzo inesploso. Credendo erroneamente che si trattasse di un giocattolo, hanno cercato di aprirlo con un’accetta. “L’ordigno è esploso uccidendo il ragazzo del posto e ferendo gravemente il rifugiato”. Il 6 giugno, invece, un veicolo che trasportava due rifugiati ha colpito uno IED vicino al campo rifugiati di Mentao. Entrambi sono stati evacuati a Djibo, dove hanno ricevuto cure per le ferite riportate. La situazione appare particolarmente grave anche in Mali, dove la popolazione civile costituisce quasi la metà delle vittime di mine e ordigni esplosivi improvvisati. Qui “Almeno 42 civili sono rimasti uccisi in occasione di 82 incidenti avvenuti tra gennaio e maggio di quest’anno, soprattutto nelle regioni di Mopti, Gao e Kidal”. 

Il dramma delle mine e degli ordigni inesplosi ed artigianali ha allarmato anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha espresso profonda preoccupazione per il continuo deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria dell’Africa occidentale e, in particolare, dei Paesi delle regioni del Sahel e nel bacino del Lago Ciad dove i conflitti sono esacerbati, tra l’altro, “dal terrorismo, dai conflitti tra pastori e agricoltori e dalla criminalità organizzata transnazionale, in particolare quella dedita alla tratta di esseri umani, traffico di armi e droga e sfruttamento illegale delle risorse naturali”. Il Consiglio di Sicurezza “ha accolto con favore il fatto che i Paesi dell’Africa occidentale e del Sahel abbiano avviato iniziative volte a combattere l’insicurezza nella regione” e ha elogiato le loro recenti operazioni antiterrorismo condotte nelle regioni di Liptako-Gourma e del bacino del Lago Ciad. È stata accolta favorevolmente anche la maggiore mobilitazione dell’Unione Africana (UA) e della Communauté économique des Etats d’Afrique de l’Ouest (Cedeao), ma peri Consiglio “le azioni intraprese in termini di sicurezza devono essere coerenti con gli obiettivi politici al fine di consentire il ripristino della sicurezza civile, l’istituzione di una governance efficace che consenta la fornitura di servizi essenziali e il rilancio delle economie locali”.

Oggi al centro delle preoccupazioni del Consiglio di sicurezza ci sono soprattutto le attuali tensioni politico-sociali in Mali, dove le opposizioni unite giudate dall’imam Mahmoud Dicko chiedono, anche con manifestazioni di piazza, le dimissioni del presidente della Repubblica Abubakar Keita e si rifiutano di partecipare a un governo di unità nazionale fino a che non le avrà date. Il Consiglio di sicurezza ha esortato tutte le parti in causa del Mali a “Ricorrere come priorità al dialogo al fine di risolvere i problemi senza indugio e lavorare in modo inclusivo e costruttivo per preservare lo stato di diritto. La sicurezza e la stabilità in Mali sono indissolubilmente legate a quelle del Sahel e dell’Africa occidentale, nonché alla situazione in Libia e Nord Africa”. Per quanto riguarda le tensioni politiche in Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Guinea, Mali e Niger, governi e opposizioni  “Devono collaborare per facilitare la preparazione e il completamento tempestivi del elezioni veramente trasparenti, inclusive, credibili e pacifiche” e tutti  “Devono adottare tutte le misure necessarie per prevenire la violenza e garantire pari condizioni a tutti i candidati e  promuovere la partecipazione piena, effettiva e autentica delle donne”. Una strada non facile e ancora, almeno apparentemente, "minata" dai interessi geopolitici e personali che poca hanno a che fare con la democrazia.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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