Un giorno per dare voce a una vittima silenziosa delle guerre

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L’umanità ha sempre contato le vittime di guerra in termini di soldati e civili morti o feriti, di città e risorse strategiche distrutte; al novero va tuttavia aggiunto l’ambiente, forse quella che meno di altre attira l’attenzione immediata degli osservatori. Ai danneggiamenti direttamente causati dalle fasi di produzione degli armamenti, a quelli provocati da bombe e altri strumenti di distruzione, si uniscono falde acquifere inquinate, raccolti incendiati, boschi tagliati, terreni avvelenati e animali uccisi per ottenere vantaggi militari. Danni ambientali inestimabili, e raramente quantificati, che possono compromettere nel lungo periodo gli ecosistemi e le risorse naturali, di frequente con ripercussioni che si estendono al di là del territorio nazionale e della generazione che ha subito la guerra in prima persona.

Tale consapevolezza non è una novità assoluta: già nel 1977 le disposizioni internazionali del diritto umanitario a tutela dei feriti, dei naufraghi, dei prigionieri e della popolazione civile durante un conflitto armato (le cosiddette 4 Convenzioni di Ginevra del 1949) vennero arricchite da un conciso articolo dedicato alla “protezione dell’ambiente naturale”, che proibiva azioni offensive passibili di determinare danni estesi, gravi e a lungo termine ai territori nel corso di una guerra.

È però solo negli ultimi decenni che si è acuita la percezione che “la pace e la sicurezza globali” siano strettamente connesse all’esigenza di garantire la sostenibilità ambientale. L’azione in materia di ambiente è divenuta dunque parte della prevenzione dei conflitti, del mantenimento e delle strategie della pace, in quanto difficilmente quest’ultima può essere duratura se vengono distrutti gli ecosistemi e le risorse naturali che forniscono i mezzi di sussistenza. Non ci si stupisce quindi di trovare la sostenibilità ambientale tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, a fianco all’esigenza di sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo, e di combattere l’Aids/Hiv, la malaria e altre gravi malattie, o anche di sradicare la povertà estrema e di ridurre la mortalità infantile. L’interdipendenza dei Millennium Goal è evidente: un ambiente insalubre e spogliato delle sue risorse costituisce un ostacolo insormontabile al miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani e al raggiungimento degli altri obiettivi, e mina nel complesso la sopravvivenza del genere umano. A riprova la certezza che, entro il 2015, nessun Paese colpito da conflitto armato raggiungerà anche uno solo degli Obiettivi del Millennio, in quanto la guerra ha distrutto il tessuto dello sviluppo sostenibile, facendo espandere la povertà, arrestando qualsiasi possibilità di miglioramento e minando la tutela dei diritti umani fondamentali.

Studi del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) hanno evidenziato che almeno il 40% dei conflitti armanti interni sviluppatisi negli ultimi 60 anni sono stati collegati allo sfruttamento delle risorse naturali, sia di alto valore economico come legno, diamanti, oro e risorse petrolifere, sia limitate come la terra fertile e l’acqua. Per questa ragione, la tendenza alla reiterazione dei conflitti incentrati sul controllo delle risorse naturali è stata individuata come un vero e proprio ostacolo alla costruzione della pace. Dal 1990, almeno 18 conflitti violenti hanno trovato ragione nel controllo e nello sfruttamento delle risorse naturali, ad esempio le ricche riserve di stagno, tantalio, tungsteno e oro in Repubblica Democratica del Congo e in Liberia, il traffico illegale di avorio in tutta l’Africa, il controllo dell’acqua e delle terre fertili in Darfur. Ad oggi, sei missioni di pace delle Nazioni Unite sono state delegate a sostenere la capacità del Paese ospitante di ristabilire il controllo sulle sue risorse naturali e fermare l’estrazione illegale da parte di gruppi armati.

“A volte questa situazione è causata da danni ambientali e dall’emarginazione delle popolazioni locali che non riescono a trarre beneficio economico dallo sfruttamento delle risorse naturali. Più spesso è causata dall’avidità.” Così si è espresso il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo messaggio in occasione della Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in tempo di guerra e di conflitto armato che ricorre quest’oggi. Il suo augurio è che si riaffermi l’impegno globale per la gestione sostenibile e la salvaguardia delle risorse naturali vitali in tempo di pace e di guerra. Per tutte queste ragioni, la prevenzione dei conflitti per il controllo delle risorse naturali e la massimizzazione dei loro benefici per la costruzione e la salvaguardia della pace è uno degli obiettivi fondamentali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, uno degli Obiettivi del Millennio. E a pieno titolo.

Miriam Rossi

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