Iraq: centrali nucleari e bidoni radioattivi

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In un paese a sud di Bagdad, nei pressi dell'impianto nucleare di Tuwaitha, una squadra di Greenpeace ha scoperto livelli di radioattività drammatici. Ma la comunità internazionale, i militari statunitensi in primis, non sembrano intenzionati a reagire immediatamente all'emergenza.

"Se questo fosse accaduto in Occidente i paesi vicini a Tuwaitha sarebbero pieni di esperti e di squadre anticontaminazione. Il popolo iracheno non merita meno attenzione da parte della comunità internazionale" ha dichiarato Mike Townsley, attivista di Greenpeace.

L'organizzazione ecologista denuncia che attorno alla centrale custodita da militari statunitensi vi sarebbe molto materiale radioattivo abbandonato in mezzo alla strada. Molti abitanti dei villaggi limitrofi, inconsci del pericolo, lo avrebbero asportato e poi riutilizzato nelle proprie abitazioni in una delle quali si sarebbe, sempre secondo Greenpeace riscontrato "un livello di radioazioni 10.000 volte superiore al normale". In particolare sarebbero stati asportati barili utilizzati per contenervi l'uranio che ora si sta tentando di recuperare.

Per smuovere l'opinione pubblica sulla questione Greenpeace ha iniziato alcune azioni dimostrative. Tra queste è stato organizzato un convoglio di veicoli con lo striscione di Greenpeace "Disastro nucleare di Tuwaitha, agiamo ora!" con un attivista a piedi in testa al corteo con una bandiera bianca, ha raggiunto i militari statunitensi di guardia alla centrale nucleare consegnando un contenitore di uranio delle dimensioni di una piccola automobile. "Perché, dopo il crollo del regime di Saddam sono stati messi subito in sicurezza gli oleodotti e non gli impianti nucleari?" si domanda sempre Townsley.

Solo recentemente le forze di occupazione statunitensi hanno dato il via libera ad un'indagine da parte degli esperti dell'Agenzia atomica internazionale, della quale ancora non si conoscono i risultati. Si teme comunque che Tuwaitha possa rivelarsi una vera e propria Chernobyl irachena.

Fonti: Greenpeace Italia, Greenpeace International, Il Manifesto

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