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Incuria e nostalgia: un’estate tunisina
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Tunisi - Il titolo che meglio descrive la situazione, in questi torridi giorni di fine Luglio, è senz’altro questo: “L’avvento di un incubo”. Poiché somiglia proprio ad una visione angosciosa, ricca di inquietudini e responsabilità inconfessate, la condizione di profondo degrado cui devono assistere residenti e turisti, per le vie di Tunisi. Malauguratamente, non si tratta di un semplice sussulto onirico, ma della triste realtà di una città abbandonata a se stessa, dall’incuria di cittadini e Istituzioni. Il centro della Capitale, vetrina primaria di un intero Paese, è ormai una “discarica a cielo aperto”, per citare l’impietosa -ma efficace- definizione della stampa locale. Ai lati delle strade, cumuli di rifiuti si affastellano, nel disinteresse generale, emanando miasmi insopportabili, resi ancor più penetranti dall’opprimente cappa estiva. A corredo, una processione di insetti e roditori, richiamati dalla facile possibilità di ristoro: un rischio sanitario concreto, denunciato da numerosi medici. Ma, non è il timore di possibili epidemie ad essere l’aspetto più preoccupante, che emerge da questo progressivo imbarbarimento: piuttosto, è il malessere sociale che ne è alla base, la rassegnazione che sembra essersi impadronita di ogni classe della società tunisina; la lebbra morale, che fiacca la fiducia di quanti ancora credono nell’avvenire della prima -e fino ad ora più fruttuosa- Primavera araba.
Una storia di ordinaria indifferenza. C’è questo, con ogni probabilità, alla base delle vicende che stanno alterando la qualità della vita; a Tunisi, come in altre località del Paese. L’epicentro di quello che si sta rivelando un inciampo, sulla via del nuovo progetto di convivenza tunisino, è un fatto in sé minuto. Un’agitazione di netturbini, presso la discarica di Borj Chakir: il grande collettore dell’immondizia proveniente dalla Capitale e dal suo circondario. Una protesta spontanea, nata al di fuori dell’UGTT -l’influente sindacato dei lavoratori- e ciononostante appoggiata da molti operatori. Non senza l’impiego, per la verità, di strumenti intimidatori quali aggressioni e minacce, a danno di quanti si rifiutavano di aderire.
Una rivendicazione, dunque, per certi versi comprensibile, a fronte dei salari miserabili e della ancora imperfetta applicazione del nuovo codice del lavoro, foriero di maggiori garanzie per i lavoratori pubblici, oltreché privati. Tuttavia, in questa storia, l’aspetto saliente è un altro: la noncuranza con cui gli scioperanti hanno messo a repentaglio la salute (e l’immagine) di un’intera città, senza cercare soluzioni alternative, che potessero conseguire gli obiettivi, minimizzando i disagi; l’imperturbabilità con cui l’amministrazione (municipale) ha tardato nel dare risposte, mostrandosi cieca di fronte all’esasperazione degli abitanti; la facilità con cui gli stessi abitanti, a dispetto di ogni campagna di sensibilizzazione, hanno continuato a gettare i rifiuti per strada, come se quelle vie non appartenessero loro. Il 18 Luglio un accordo è stato siglato, ma le ricadute positive dell’intesa tardano a manifestarsi. Ci vorrà del tempo. Per ora, dominano ancora le conseguenze di questo balletto di egoismi.
Conseguenze soprattutto morali. Infatti, sembra essersi attivato un circolo vizioso, in cui cause ed effetti si confondono, rendendo difficile determinare se siano i vizi privati a guastare il buon andamento della cosa pubblica o se siano le disfunzioni amministrative a provocare il ripiegamento verso un comodo egotismo. Quel che è certo, è che il “caso sporcizia” si segnala come qualcosa di più di un banale episodio di malagestione: è il simbolo di una Tunisia che stenta a ritrovare se stessa, stravolta da un terrorismo di cui non sospettava la forza e che solo pochi giorni fa ha portato alla morte di 14 militari, caduti in un vile attentato, nella parte centro-orientale del Paese; da un’economia che stenta a decollare e pare sempre sul filo del collasso, come testimoniato dalla rapida perdita di valore del dinaro; soprattutto, da un’ancora solida ubriacatura contestataria, che confonde le libertà acquisite con la protesta fine a se stessa. Così, a pochi anni dalla Rivoluzione, la Repubblica dei gelsomini marcia a tappe forzate verso lo sconforto e la rassegnazione, nutrendo nostalgie autoritarie, che si fanno via via più insistenti; in particolare, presso quella borghesia d’impresa che vive più di altre categorie il prezzo dell’instabilità.
L’imperativo è invertire subito la rotta. Prima di tutto, realizzando quelle riforme dell’apparato pubblico, locale e statale, che si mostrano indispensabili per dare alla popolazione una prova (tangibile) della presenza istituzionale e della sua capacità di intervenire sulle difficoltà collettive. Ciò non basterà, tuttavia, se non vi sarà una effettiva presa di coscienza delle responsabilità di tutti e di ciascuno, nella costruzione dell’avvenire. Il cammino di rinascita intrapreso dal piccolo Stato nordafricano richiede entusiasmo, ma anche -a distanza di più di 3 anni dalla caduta del vecchio regime- di normalità. Per meglio dire, di una sostanziale normalizzazione. Sarà fondamentale il ruolo svolto dalle forze sociali, dal mondo intellettuale e dalla stampa, in quella che deve essere una definitiva maturazione. La Tunisia può farcela, archiviando questa calda fra il pattume come aneddoto imbarazzante, e non come tappa di un processo di regressione. Ma bisogna cominciare, e cominciare subito.