Clima: l'Italia presenta il Nap in ritardo

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Con quasi un mese di ritardo rispetto al termine previsto, anche l'Italia ha presentato alla Commissione europea il Piano nazionale di assegnazione delle quote di emissioni di gas serra (Nap), come stabilito dalla direttiva comunitaria 87 del 2003. Il documento, che fissa per ogni settore produttivo la quantità annua di CO2 che può essere emessa, è stato presentato lo scorso 20 aprile e resterà aperto alla consultazione sul sito del ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio fino al prossimo 5 maggio. Il ministro dell'Ambiente Altero Matteoli ha definito il piano "molto equilibrato", ricordando che "L'Italia ha raggiunto anche un'alta efficienza energetica e non utilizza il nucleare".

Diversi analisti del settore, italiani ed europei, hanno invece espresso notevoli perplessità sul piano, definito troppo permissivo sulle quantità di emissioni consentite. "In particolare per il settore elettrico il Nap prevede la possibilità di aumentare le emissioni del 39% rispetto ai valori del 1990 e del 14% rispetto al 2000 - spiega Gianni Silvestrini, direttore scientifico della rivista QualEnergia - Si tratta quindi di un contenimento di poco inferiore allo scenario cosiddetto "business as usual", cioè privo di politiche in merito, e decisamente inadeguato a rispettare gli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto".

Il trattato sui cambiamenti climatici del 1997 prevede infatti per l'Italia una riduzione delle emissioni del 6,5% rispetto ai valori del 1990 entro il 2012, mentre attualmente si registra un aumento del 7,3%, come riportato da un documento presentato dall'istituto di ricerche Ambiente Italia e Legambiente alla Cop9 dello scorso dicembre. "Le politiche energetiche del governo si stavano concentrando sugli scambi di emissioni e sugli interventi all'estero piuttosto che sugli interventi strutturali per migliorare l'efficienza energetica nazionale - aggiunge Silvestrini - ma un piano permissivo come quello presentato nei giorni scorsi, se dovesse essere approvato in sede europea, non riuscirebbe a incentivare nemmeno i meccanismi flessibili. Per quanto riguarda l'efficienza energetica del settore industriale - conclude Silvestrini - è bene ricordare che nel 2000 l'intensità energetica dell'industria manifatturiera italiana si è ridotta del 7%, cioè meno della media europea del 10%".

Fonte: La nuova ecologia

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