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Un oceano di plastica
Conservazione
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Foto: Unsplash.com
Continuiamo a parlare dell’inquinamento causato dalla plastica, un tema molto caro a Unimondo. Le microplastiche rilevate nell’oceano Atlantico sono tante, troppe: da 12 fino a 21 milioni di tonnellate e solo nei primi 200m di profondità. A renderlo noto è uno studio coordinato da Katsiaryna Pabortsava e Richard Lampitt del britannico National Oceanography Centre e pubblicato sulla rivista Nature Communication.
I campioni utilizzati per la ricerca erano stati prelevati durante la 26a spedizione Atlantic Meridional Transect fra settembre e novembre 2016 in 12 punti diversi da Nord a Sud dell’oceano e a diversi livelli di profondità. I dati sono particolarmente scioccanti se si tiene conto che i polimeri presi in considerazione sono solo tre, cioè quelli che costituiscono più della metà dei rifiuti di plastica: polietilene, polipropilene e polistirene.
Grazie a questi risultati si è potuto evincere che la concentrazione complessiva di plastica nell’oceano Atlantico potrebbe essere almeno 10 volte tanto ciò che era stato stimato in precedenza. Una tale concentrazione (fino a 7000 particelle per metro cubo) di microplastiche – si pensi che la loro dimensione media varia dai 32 ai 651 µm, cioè milionesimi di metro – desta grande preoccupazione per l’impatto che questa ha sia sugli ecosistemi oceanici, che sulla salute umana.
Sì, perché la strada dall’oceano alla nostra tavola non è poi così lunga, com’è già stato dimostrato da numerosi studi scientifici, fra cui uno condotto nel Mar Tirreno da Greenpeace Italia insieme all’Università Politecnica delle Marche e l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Genova. Certo, la plastica non dovrebbe essere mangiata dall’uomo, dato che questa si accumula nell’intestino dei pesci e di solito il pesce viene mangiato eviscerato, ma questo non significa che il problema non esista o possa essere sottovalutato. Anzi, già nel 2018 una ricerca dell’Agenzia dell’Ambiente austriaca aveva rivelato la presenza di micro-particelle di plastica nelle feci umane e un ormai noto studio commissionato dal WWF ci aveva detto che ingeriamo l’equivalente di una carta di credito a settimana.
Eppure il 2020 ha già segnato il suo record negativo. Complice la pandemia mondiale, il rischio è ora che i (pochi) passi avanti degli ultimi anni in materia di riduzione della plastica vengano del tutto vanificati.
Se da un lato vi è stata la diminuzione dell’inquinamento ambientale dovuta al lockdown e al blocco del traffico aereo, marittimo e su strada, dall’altro la lotta per arginare il contagio ha reso necessario il ritorno in auge della plastica usa e getta. La questione non riguarda soltanto lo smaltimento dei dispositivi di protezione individuale, come guanti, mascherine e visiere; infatti, la plastica è contenuta in molti oggetti di uso quotidiano che servono per la pulizia della persona e della casa, come detergenti, salviette, tessuti. L’allarme per le mascherine è già stato lanciato.
In gioco ci sono anche altri fattori. Ad esempio, il boom dell’e-commerce ha determinato un’impennata nella produzione di rifiuti da imballaggio e la ripartenza economica ha reso utile ricorrere a piatti, bicchieri, posate e borse di plastica (nonostante sia stato evidenziato che il virus possa permanere fino a 3 giorni su questo tipo di superficie).
C’è poi un aspetto interessante legato al crollo del prezzo del petrolio, che com’è noto, è uno dei componenti della plastica. Ebbene, le grandi compagnie potrebbero trovare nella produzione di plastica un’ancora di salvezza e utilizzare questa via alternativa per compensare le perdite in altri settori, come quello della produzione di carburante. L’abbassamento dei costi di produzione e il conseguente abbassamento del valore della plastica ha reso economicamente vantaggioso l’acquisto di plastica nuova. Ciò potrebbe dissuadere le aziende a ricorrere alla plastica riciclata. Ed è in questo contesto che alcune lobby hanno colto l’occasione per fare pressione sulle istituzioni per ottenere una marcia indietro sulle legislazioni recenti volte a combattere la diffusione della plastica monouso, adducendo la necessità di tutelare la salute delle persone.
Sebbene le notizie siano sconfortanti, non significa che la rotta possa essere invertita.
Nello studio sulle microplastiche nell’Atlantico, i ricercatori affermano che al momento non esiste un materiale con le stesse qualità della plastica, che possa sostituirla del tutto. Purtroppo è possibile che la plastica verrà usata ancora per lungo tempo e per questo è necessario che i processi di riciclo e smaltimento sicuro vengano implementati. D’altro canto urge che studi scientifici come questo e dati effettivi vengano forniti, al fine di calcolare con maggior certezza i danni che questo materiale sta causando al nostro pianeta. Le soluzioni possono essere trovate e applicate, ma come al solito servono ricerca scientifica, volontà politica e impegno concreto, anche a livello individuale.
La strada per uno stile di vita più sostenibile è lunga, ma non significa che non debba essere percorsa.
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.