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Se gli animali da pascolo preservassero il permafrost…
Conservazione
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Foto: Unsplash.com
Riscaldamento globale e permafrost. Due fenomeni che, lo sappiamo, sono indissolubilmente collegati: aumentano le temperature e quella parte di suolo che, nelle regioni più fredde, solitamente rimane perennemente ghiacciata, comincia invece a sciogliersi. Un mutamento apparentemente non grave e reversibile, ma che invece sta sovvertendo equilibri centenari del suolo terrestre e modificandone le caratteristiche stesse, provocando danni strutturali a edifici e infrastrutture, ma anche conseguenze ambientali di gravissima rilevanza che mettono a rischio interi ecosistemi.
Se da un lato lo scioglimento dei ghiacci porta alla luce elementi importanti per lo studio della storia evolutiva del nostro pianeta e dei suoi abitanti, dall’altro lato scoperchiare questo vaso, peraltro senza poterne gestire tempistiche e modalità ma subendo gli effetti di azioni di ampia e non sempre tracciabile portata, genera rischi non sottovalutabili come per esempio lo sprigionarsi incontrollato di metano e altri gas o il fenomeno del termocarsismo, ovvero la formazione di bacini d’acqua sopra lo strato di permafrost e quindi l’aumento della possibilità di crepe nel terreno e di ulteriori dissesti geologici.
Ma perché è così importante il permafrost? Copre circa un quarto dell’emisfero settentrionale e si valuta che al suo interno siano accumulati miliardi (tra i 1400 e i 1600) di tonnellate di anidride carbonica, contenuta per lo più nella vita sepolta nel ghiaccio: una quantità che è doppia rispetto a quella presente in atmosfera e che, se rilasciata anche lentamente nell’aria in seguito appunto allo scioglimento dei ghiacci, contribuisce in modo determinante all’effetto serra e al peggioramento del riscaldamento globale (innalzando da solo la temperatura globale di quasi 0,3°C), alimentando un circolo vizioso le cui conseguenze sono immaginabili.
Ma ancora una volta gli animali possono essere nostri preziosi alleati nel contenere gli effetti devastanti provocati dalle nostre azioni. Un tentativo sta avvenendo in Siberia, presso quello che viene chiamato Pleistocene Park, un luogo dove ricreare le condizioni adatte al mantenimento del permafrost grazie alla reintroduzione degli animali da pascolo. Sergei e Nikita Zimov sono due scienziati della Northeast Science Station di Čerskij, area remota e inospitale della Russia nord orientale dove, rispettivamente come fondatore e come direttore del Parco, i due si sono dati l’obiettivo di riportare indietro l’orologio del tempo, ricreando le condizioni degli ecosistemi della steppa durante l’ultima era glaciale, con la speranza di garantire al pianeta un tempio di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. “Durante il Pleistocene, l’Artico siberiano era un ecosistema produttivo, ad alta densità animale. L’intervento umano ne ha pesantemente influenzato l’evoluzione. Ripristinare quel tipo di ecosistema potrebbe determinare la riduzione delle temperature globali, impedendo al permafrost di scongelarsi grazie all’aiuto degli animali presenti, che pascolando su queste terre contribuiscono a compattare la neve e il muschio, permettendo così agli strati inferiori di ghiaccio di mantenere una temperatura tale da impedirne lo scioglimento.” In pratica, agevolando con il pascolo la crescita di erbe più secche, si aumenta anche la capacità del suolo di riflessione della luce, riducendo la quantità di calore che altrimenti potrebbe raggiungerlo.
Un progetto ambizioso che può già contare qualche risultato (come per esempio la diminuzione di 2,2°C delle temperature dei suoli pascolati) e che negli anni è diventato un centro di ricerca internazionale e una sfida alle difficoltà cui ogni giorno deve far fronte, compreso il fatto che il permafrost si scioglie in maniera complessa e irregolare, graduale secondo alcuni, improvviso e rapido secondo altri. Per Zimov però il parco è un punto di partenza per la creazione di un ecosistema abbastanza grande da poter avere un impatto significativo su aree molto più estese e dunque sul clima di quelle stesse aree e dell’intero pianeta, che dovrà superare nel tempo ostacoli di vario tipo, dall’adesione di altri governi (come per esempio quelli di Canada e Alaska) al sostegno delle popolazioni locali per la reintroduzione di migliaia di animali con i relativi costi connessi, dalle titubanze degli scettici alla collaborazione globale alla riduzione delle emissioni e all’attuazione di provvedimenti che mirano al contenimento degli effetti del riscaldamento. Una sfida che può raggiungere i risultati sperati solo – e come spesso accade – grazie alla collaborazione di molti.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.