Quattro chiacchiere tra cinguettii e parole

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Foto: Unsplash.com

Non ditemi che non vi è mai capitato o non avete mai avuto la voglia o la tentazione di emulare un cinguettio durante una passeggiata nel bosco, in risposta a qualche gorgheggio che scivola dal fitto dei rami. Il fascino di quei dialoghi misteriosi, e per i più indecifrabili, sembra irresistibile: quasi fosse un riflesso incondizionato, molti di noi provano a “rispondere”, tentando di ripetere o simulare il vocalizzo che abbiamo sentito, peraltro senza avere nella maggior parte dei casi la minima idea di quello che stiamo “dicendo”.

Il desiderio di instaurare un dialogo – o qualcosa che almeno per noi gli assomigli – con la natura non è solo conseguenza dell’isolamento a cui la pressione dell’epidemia di Covid19 ci ha costretti, spingendoci a ri-cercare un nuovo contatto con l’ambiente naturale e a ritrovare connessioni che la vita ci ha fatto nel tempo perdere o dimenticare. Quella sorta di richiamo a una “chiacchierata” tra specie è qualcosa di più, di atavico, di primordiale, forse anche di inspiegabile.

Ecco perché una riflessione a partire da queste considerazioni si fa interessante. Per l’uomo i sensi sono decisamente anestetizzati dalla vita che conduce: annusa poco, ascolta prevalentemente rumori e si concentra meno sui suoni che può cogliere, facendosene invece travolgere. Non tocca quasi più niente, se non per afferrare: ancor meno in questo periodo, in cui il distanziamento è fisico oltre che, purtroppo, anche sociale. Non usa più le mani per sentire, ma solo per fare. Mangia in fretta e a monodosi, degusta raramente, assapora quasi mai. Perché allora gli uccelli diventano importanti in questo contesto? 

Perché gli uccelli sono alleati per l’uomo nella sua ricerca del ben-essere, in un modo del tutto inaspettato e, probabilmente, inconsapevole. I loro vocalizzi sono per noi umani quella che a tutti gli effetti possiamo chiamare musicoterapia, che trova nella scienza conferme e nuovi spunti provenienti proprio dal microuniverso del “paesaggio sonoro”, o fonosfera, un mondo di suoni costituito non solo dai gorgheggi dell’avifauna, ma anche dal gorgoglio di un ruscello, dallo scricchiolare di una foglia, dalla folata di vento che scuote il bosco. Tutte esperienze sonore che contribuiscono alla creazione di un’atmosfera di serenità e rilassamento e che tutti noi abbiamo provato - non solo e non necessariamente con percorsi di musicoterapia come quelli sviluppati dal terapeuta argentino Rolando Benenzon. Sono evidenze confermate anche dagli studi degli ornitologi, che possono attribuire attraverso monitoraggi bioacustici una precisa e diversa identità a individui di una stessa specie, registrandone le vocalizzazioni (un interessante articolo per approfondire si trova qui, a cura della musicoterapeuta Santina Ginga). 

Si delinea uno scenario di suoni che diventano archetipi universali della stessa identità sonora, che spesso resta addormentata nel nostro inconscio: non solo il cinguettio degli uccelli, ma anche il battere del cuore, il suono del respiro, il fruscio di un’onda, il bramito del cervo, le voci dei cetacei, l’eco del tamburellare sul legno. Una palette di suoni e di sfumature sonore che sono terapeutiche non solo per il nostro vissuto, ma anche per esempio per persone con sindromi di tipo autistico.

Echi di mondi arcaici che creano in noi una memoria acustica che, quando stiamo in mezzo alla natura, in qualche modo si risveglia. Una riattivazione di cui gli uccelli sono protagonisti fondamentali, come ha dimostrato il professor Simon Fisher, esperto di psicolinguistica: uomini e uccelli hanno in comune più di 50 geni correlati all’apprendimento e al linguaggio. Come già avanzato da Darwin e prima ancora da Barrington, i primi cinguettii degli uccelli sono paragonabili ai primi balbettii di un bambino. Si incrociano qui dunque bio-linguistica e bio-musicologia, lavorando in maniera congiunta per capire questo legame ancora in gran parte misterioso. Ma che comincia a schiarire alcune intuizioni preziose, come ad esempio la possibilità che uccelli e uomini condividano la sintassi della strutturazione del linguaggio, aspetto peraltro già verificato nel caso della cinciallegra orientale (Parus minori), che è in grado di esprimere significati diversi combinando diverse note. Un percorso che ci porta all’esplorazione di strade nuove, che delineano intersezioni tra la struttura gerarchica del linguaggio umano e i vocalizzi degli uccelli (p.es. con gli studi del prof. del MIT Shigero Miyagawa).

L’invito quindi è quello di non sentirsi ridicoli o infantili, ma anzi di lasciarsi andare alle passeggiate nella natura e al desiderio, primitivo, intimo ed emozionale di “chiacchierare” con chi ci guarda dall’intrico dei rami… con la sensazione che forse, tra le sillabe delle nostre radici primordiali più profonde, un dialogo sommesso potrebbe avverarsi.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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