Eco fino alla morte. Per rinascere albero

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Lo so, sì. Parlare di morte non è facile e la tentazione di sgusciare via è forte, sentiamo il bisogno di cambiare discorso, magari di sdrammatizzare con una battuta per arginare un argomento “scomodo”. Argomento che però, non si può negare, fa inevitabilmente parte delle nostre vite, seppur nella fase ultima e finale. Anzi, è probabilmente il momento più intimo e nostro, quello che ci prende a schiaffi quando ci sfiora e si porta via qualcuno a cui vogliamo bene e quello che ci accoglie soli e disarmati quando si ricorda di noi, sia che ci raggiunga pronti (e quanto potremo essere pronti?) sia che ci sorprenda spaventati o inconsapevoli.

Vogliate scusarmi allora se oggi vi parlerò di morte. Ma desidero condividere con voi qualche pensiero che mi ha regalato serenità e speranza. E non serve credere nella reincarnazione, né prendere l’una o l’altra delle innumerevoli posizioni religiose, laiche, atee o agnostiche che possiamo immaginare quando parliamo della fine della vita. Perché da qualsiasi punto la si veda, c’è una cosa, credo, che le accomuna tutte. Il rito funebre caratterizza infatti da sempre tutte le civiltà e l’uomo continua a manifestare un’attenzione e una cura speciali nel rendere giusta memoria ai defunti. La morte, e appunto il rito funebre, è un momento importante e trasversale (al genere, alle culture, alle specie) ed è qualcosa che ci tocca da vicino e che rappresenta un passaggio – comunque evolutivo – da uno stadio ad un altro. Allora oggi vi parlo di uno dei possibili modi di vivere questo passaggio. Quello cioè dell’urna biologica, che ripropone il rituale della sepoltura in chiave laica, certo, ma densa di una spiritualità che evoca la rigenerazione e il ritorno alla natura, quel “pulvis es et in pulverem reverteris” che insomma proprio laico non è. Si tratta quindi di un’idea suggestiva e interessante per chi ha il desiderio di essere cremato e rappresenta un’alternativa ecologica all’urna cineraria classica.

Progettata in più parti del mondo da designer e artisti, l’urna bio non è solo un modo estroso e creativo per morire. Sembrerebbe essere piuttosto la soluzione ideale da più punti di vista per riappacificare l’anima del defunto e dei suoi familiari: rappresenta un rituale che riavvicina profondamente lo spirito alla natura e che in qualche modo tende la mano al futuro e alla continuità. D’altro canto l’urna biologica permette anche di ridurre al minimo le spese funebri - sì, probabilmente è indelicato toccare questo aspetto ma, diciamoci la verità, oggi anche morire costa troppo e quella di acquistare uno spazio nei cimiteri diventa una spesa che, in barba a una “morte che ci rende tutti uguali”, è ancora una volta un’occasione per scavare in maniera più profonda quel fossato che separa chi è più ricco da chi, avendo un reddito modesto o molto basso, non riesce a garantire a se stesso o ai propri cari una degna sepoltura. Inutile dire che ciò genera ulteriori ragioni di sofferenza e disagio. Senza contare che l’impatto ambientale dei funerali non è cosa da sottovalutare e che i cimiteri (anche quelli, pensate) sono cittadelle di cemento in continua espansione. Insomma, la morte non è più un fatto naturale, anzi: è diventata persino fonte di inquinamento!

Vediamo allora da vicino se ci convince l’opzione della Bios Urn: si tratta di un contenitore in materiale biodegradabile e fibre vegetali, che ha un costo decisamente abbordabile (75 euro). Ne esistono in noce di cocco, torba compattata e cellulosa oppure in sughero, con un anello di ceramica nella parte superiore in cui si può incidere il nome del defunto. Quello che in entrambi i casi rende il contenitore speciale è che al suo interno contiene il seme di un albero, che possiamo scegliere per noi o per noi i nostri familiari. Una volta che l’avremo sotterrato, il contenitore si decomporrà in maniera del tutto ecologica (nel caso del sughero rimarrà solo la corona di ceramica con l’incisione). L’albero crescerà riscaldato dalla terra e dalle ceneri. In qualche modo ci rinnoverà in un’altra forma, tenendo traccia nelle radici di una parte di noi.

Se volete approfondire, sul sito di Urna Bios trovate tutte le informazioni su come fare, ad esempio, a scegliere un seme adeguato alla latitudine e al periodo dell’anno.

Questa soluzione può essere per molti solo l’idea stravagante di un artista dal gusto un po’ macabro, ma è un’idea che si è persino aggiudicata un premio al concorso di design Talente 2010, bandito dalla Camera di Commercio di Monaco di Baviera, appuntamento dove ogni anno vengono proposti i migliori oggetti di artigianato a livello mondiale. Vi dirò di più: si tratta forse di un modo intelligente di reintegrare l’uomo nel ciclo di vita cui appartiene, assottigliando, è vero, il confine tra sacro e profano, ma valorizzando in qualche modo quella spiritualità del nostro vivere nella natura che, se l’abbiamo coltivata in vita, ci permette così di restare fedeli ai nostri principi anche quando la vita ci avrà abbandonato (ma in questo modo non ci abbandonerà mai realmente del tutto!).

Immagino restino anche a voi, come a me, ancora molte domande da porre. Alcune trovano risposta qui, altre la troveranno forse riflettendo con calma su questa opportunità. In ogni caso l’obiettivo dell’articolo non era certo quello di convincere, ma piuttosto quello di proporre un modo diverso di elaborare un lutto, un processo lento e delicato che può a volte coincidere con la crescita di un albero. Ognuno poi troverà il proprio modo per affrontare una delle circostanze in cui siamo più fragili.

Da parte mia aggiungo solo un’ultima riflessione. Qualche domenica fa ero al lago, e verso sera, quando ormai la maggior parte delle persone se n’era andata e il cielo era ancora caldo del sole del pomeriggio, soffiava una brezza leggera sul bosco che circondava quello specchio verde smeraldo, colore tipico dei laghi di montagna. Guardando le fronde scosse dal vento non ho potuto non immaginare che quel fruscio di foglie e rami fossero i sussurri di chi aveva trovato pace in quella nuova forma. E in maniera così serena e discreta quella pace riusciva a trasmetterla.

Anna Molinari

Per un chiarimento sulla normativa che regola la possibilità di inumare un’urna biodegradabile abbiamo consultato telefonicamente il dott. Giovanni Pollini, tesoriere della Federazione Italiana per la Cremazione e presidente della Socrem (Società per la Cremazione) di Torino. Abbiamo appreso che in Italia, per il momento, nonostante sia lecito disperdere le ceneri in spazi aperti come ad esempio il mare o i boschi, è consentita l’inumazione delle urne solo nei cimiteri, oppure in giardini privati a patto che si abbia l’autorizzazione del proprietario, non ci siano fini di lucro, e il terreno non sia in un centro abitato. La stessa limitazione vale anche per i terreni pubblici, come definito dal codice della strada. Il dott. Pollini ci ha segnalato inoltre che in Italia non esiste una legge nazionale che regolamenti in maniera omogenea la materia, ma ogni Regione si è data proprie norme (più o meno coerenti). La Federazione Italiana per la Cremazione e la SE.F.IT (Sevizi Funerari Pubblici Italiani) hanno però presentato una proposta di legge alla Camera che auspica 3 fondamentali provvedimenti:

1) Che il diritto alla cremazione venga considerato (e disciplinato) come diritto civile a livello nazionale e quindi omogeneizzato rispetto alle diversità regionali;

2) Che il cimitero possa essere considerato un bene collettivo demaniale dotato di impianto crematorio proprio quale servizio pubblico;

3) Che venga resa più chiara la normativa che attualmente regola l’espressione della volontà e che consente ad oggi al parente del defunto il diritto di contestare la volontà del defunto stesso, soprattutto in relazione alla dispersione delle ceneri (meno costosa rispetto all’inumazione e quindi a volte scelta dai parenti anche a scapito di quello che sarebbe stato il desiderio espresso – o non espresso – del defunto). Si pensi che su circa 40.800 soci che hanno manifestato alla Socrem il desiderio di essere cremati, solo il 7% esprime la volontà che le proprie ceneri vengano disperse, ma se guardiamo le statistiche relative alla dispersione delle ceneri il dato sale al 16%.

Si tratta come possiamo intuire di una tematica molto complessa, tangente anche agli interessi delle lobby dei cimiteri e delle casse funerarie, e proprio perché tocca temi delicati merita – e necessita – di approfondimenti adeguati.

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