COP16, la biodiversità vittima di indecisioni e tiratardi

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Foto: Unsplash.com

Cali. Colombia. Una settimana dopo la chiusura della COP16 sulla biodiversità, pur avendo provato a lasciare il tempo alle cose di decantare, il bilancio non è migliorato. Disordine e indecisione restano le parole chiave per fare sintesi di questo ennesimo forum senza concretezza e senza azioni urgenti e convinte dove, nonostante i passi avanti compiuti in termini di conservazione della biodiversità, molte questioni restano irrisolte.

Il forum ha ospitato Governi di tutto il mondo per cercare di progredire sulla strada che dovrebbe portare a uno stop definitivo o per lo meno a una drastica riduzione della distruzione della vita terrestre causata dall’opera dell’uomo: si puntava a trovare gli accordi necessari almeno sugli obiettivi cruciali, come per esempio proteggere il 30% della superficie terrestre a favore della natura e riformare il sistema finanziario globale che alimenta il perdurare impunito di danni all’ambiente. L’incontro doveva chiudersi, dopo due settimane di lavori, il venerdì sera, eppure si è protratto fino alla mattina del sabato con ore e ore di discussioni che, purtroppo, non hanno portato a nessun consenso. Molti avrebbero perso l’aereo se il meeting fosse andato avanti e quindi in chiusura erano rimaste meno della metà delle rappresentanze coinvolte, perdendo così il quorum per le votazioni. Come rimediare? Forse in questi giorni alla COP29 di Baku in Azerbaigian?

Ci si può indignare o rassegnare, certo è che questa specie detta umana che si crede così evoluta non dimostra nemmeno di saper discutere questioni fondamentali che riguardano direttamente la propria sopravvivenza e l’ambiente in cui vive: temporeggiare, procrastinare, lasciare argomenti importanti in chiusura di forum, non pensare che forse, soprattutto per quanto riguarda le rappresentanze con maggior budget, qualche volta si potrebbero spostare i voli aerei prenotati se di fronte si hanno impellenti argomenti che riguardano il futuro del Pianeta (come ha fatto notare Michelle Baleikanacea, negoziatrice per le Fiji). 

Ma qualcosa è stato fatto, o proprio niente niente? Beh, possiamo dire che non è stata solo una gita di piacere quella affrontata dai rappresentanti di 196 Stati e almeno su qualcosa sono andati d’accordo, per esempio sull’includere formalmente le comunità indigene nel processo decisionale delle Nazioni Unite sulla biodiversità, che fino ad ora avevano partecipato solo come un gruppo di lavoro informale. Un aspetto che, sebbene sia un traguardo agognato e dovuto che ha portato molte rappresentanze a festeggiare, non può fare a meno di lasciare l’amaro in bocca rispetto al fatto che, come ha rilevato più di un osservatore, le decisioni che sarebbero state prioritarie per rallentare o meglio ancora fermare la crisi ambientale non siano state considerate e affrontate con la necessaria urgenza. Contro Europa, Cina, Canada e in particolare contro i Paesi più ricchi si punta il dito, recriminando la mancanza di leadership e di collaborazione nelle discussioni, portando a galla la triste realtà che ha visto troppi Paesi fare progressi debolissimi o nulli verso traguardi cruciali come la revisione dei finanziamenti che provocano danni ambientali, l’incremento delle aree protette e la presentazione di piani nazionali per il raggiungimento degli obiettivi prefissi. 

Di fatto, “il ritmo con cui la crisi sta progredendo non è affatto riflesso dal ritmo delle negoziazioni” ha dichiarato Catherine Weller, direttrice per le politiche globali per Flora e Fauna. 

Uno dei temi cruciali è stato sicuramente quello dell’accesso alle risorse genetiche e dell’equa distribuzione dei benefici derivanti dal loro utilizzo: la gestione delle DSI (Digital Sequence Information), ovvero le sequenze biologiche digitali (che includono DNA, RNA, proteine) è uno degli aspetti poco narrati della biodiversità, in particolare per il fondamentale apporto allo sviluppo di prodotti alimentari, biomedici, cosmetici e tecnologici. Gran parte di queste informazioni sono state finora accessibili gratuitamente su database globali i cui dati provengono per lo più da Paesi naturalisticamente ricchi di biodiversità, ma al Fondo che gestisce questi dati, e da cui si generano per pochi profitti a troppi zeri, ritorna poco o nulla. E se pensiamo che uno degli obiettivi di questa COP era quello di implementare la strategia di fund-raising per proteggere la natura… ci rendiamo conto dello scoramento e della rabbia che questo forum ha lasciato dietro di sé, soprattutto alla luce del fatto che molti Paesi impoveriti hanno ricordato come, quando serve (vedi pandemie o guerre), i fondi si riescano a reperire. E allora perché non anche per la tutela della biodiversità? Perché anche questo è un obiettivo non raggiunto: quello di avere piani e programmi da rispettare per il tempo che verrà e, mentre si discutono argomenti minori, perdere tempo per le decisioni più importanti.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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