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Sempre più bici: gli italiani alla riconquista degli spazi urbani
Carburanti
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Passare da un’ottica auto-centrica a una umano-centrica, garantendo le esigenze di spostamento dei cittadini in modo efficiente ed ecologico. E quindi: più bici, più mezzi pubblici e treni e, perchè no, più gambe, limitando il più possibile l’uso dell’auto attraverso servizi come il car sharing, car pooling, taxi. È questo il senso del manifesto ideato dalla Rete per la Mobilità Nuova, che il 4 maggio ha organizzato una grande adunata di Milano, a cui hanno aderito oltre 150 importanti realtà: da Legambiente a Coldiretti, da Libera, a #salvaiciclisti, Slowfood, Uisp e tante altre.
“Ciclisti, skater, pedoni e pendolari, per un giorno si riapproprieranno dello spazio urbano solitamente occupato dalle automobili – spiegano gli organizzatori – Una moltitudine di soggetti legati dalla volontà di creare un’alternativa alla motorizzazione privata, per anni unica politica dei trasporti in Italia”.
Perchè nel nostro paese, con 60,7 macchine ogni 100 abitanti contro una media europea di circa 46, la situazione non è certo rosea e clacson, marmitte e gas di scarico spesso la fanno da padroni. In realtà, si tratta di un quadro molto disomogeneo, con punte di degrado e di poca vivibilità ma anche punte di eccellenza, a seconda delle zone geografiche. Ed ecco che, secondo la speciale classifica di Euromobility sulla mobilità sostenibile (studio che prende in considerazione le principali 50 città italiane), al primo posto come città più virtuosa c’è Torino, seguita da Brescia e Parma, mentre la quarta e quinta posizione è riservata a Milano e Bologna (entrambe con dei significativi passi avanti anno dopo anno). I criteri: “gli ottimi livello di trasporto pubblico, una flotta di bike e car sharing tra le più efficienti nella penisola, una quota superiore alla media di auto a basso impatto ambientale e minimi tassi di incidenti e mortalità sulle strade”. In fondo alla classifica troviamo invece le città meno sostenibili in assoluto, come L’Aquila e Latina, Catanzaro e Reggio Calabria. In mezzo, con un poco dignitoso 26° posto, c’è la Capitale.
E dire che, secondo un’indagine dell’Agenzia per i servizi alla mobilità del Campidoglio, gli utilizzatori della bici in città sarebbero addirittura decuplicati dal 2010 al 2013. Un risveglio e una presa di coscienza più che altro spontanea dato che, secondo le associazioni e i movimenti come #salvaciclisti e Legambiente, questo aumento “avviene in assenza di politiche per la ciclabilità, dunque spontaneamente e malgrado la mancanza di azioni amministrative”. L’incuria e una mala-gestione (o meglio, non-gestione) da parte dell’amministrazione romana in fatto di mobilità sostenibile si può toccare con mano, semplicemente passando sulle (poche) piste ciclabili disponibili, lasciate a se stesse, piene di detriti e interruzioni illogiche, o ancora di più nell’abortito servizio di bike sharing, ormai in stato di totale abbandono.
Nato all’inizio del 2008 durante l’ultimo periodo di Walter Veltroni alla guida della città, il sistema di “bici in condivisione” era stato inizialmente affidato a una multinazionale spagnola. L’azienda si sarebbe occupata della manutenzione delle biciclette e della ventina di isole sparse per la città, in cambio di spazi pubblicitari per le affollatissime strade della capitale. All’inizio è andato tutto bene, con oltre 3mila abbonamenti nei primi sei mesi, a fronte di una spesa di 600mila euro. Ben presto, però, l’ingresso sul mercato romano di una ditta concorrente ha provocato la dura opposizione da parte delle altre imprese di pubblicità romane, fino a che la giunta di Gianni Alemanno, da poco eletto primo cittadino, ha dovuto passare la gestione del servizio all’Atac, l’azienda di trasporti pubblici romana.
In pochissimo tempo gli errori di gestione, a fronte comunque di una spesa altissima (1.100.000 euro), hanno portato alla situazione attuale: nel 2011 mancavano ormai all’appello circa 450 biciclette, tutte rubate, poi riacquistate (200 euro l’una) e poi di nuovo rubate. Oggi, praticamente tutte le isole sono vuote e abbandonate o sono diventate aree di sosta selvaggia, e le poche bici rimaste sono semi-distrutte e inutilizzabili. Anche le piste ciclabili, che coprono circa 115 chilometri su una superficie totale di 1285,30 chilometri, non hanno subito un destino migliore, nonostante il progetto del Biciplan e la promessa di realizzare “mille chilometri di piste ciclabili in città, entro il 2020”. Un pessimo ritorno di immagine, specie con le migliaia di turisti che ogni giorno affollano le vie di Roma e che spesso conoscono i vantaggi e il benessere di una città, anche metropoli, a misura di bici: Amsterdam, Parigi, Londra, Copenaghen, solo per stare in Europa.
Eppure è vero che i ciclisti romani sono aumentati, segno della gran voglia di bici e di mobilità sostenibile, coi suoi vantaggi economici e per la salute, a dispetto della pericolosità delle strade e del traffico. Una voglia che si sta facendo sentire sempre di più non solo a Roma ma in tutta l’Italia. Basti pensare al successo delle manifestazioni spontanee come Critical Mass, o al fatto che, come segnala il Rapporto Ambiente Italia 2013 di Legambiente, per la prima volta nel 2011 le vendite di biciclette nuove hanno superato le immatricolazioni di nuove auto. Ora, però, per gli è necessario che le istituzioni, locali e nazionali, ascoltino le esigenze dei cittadini. Tra i punti principali all’ordine del giorno, ci sono ad esempio quelli del manifesto dell’associazione #salvaciclisti, che chiedono un ripensamento della viabilità in modo da garantire una maggior sicurezza per cittadini e pedoni, ad esempio imponendo il limite di 30 km/h nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili, incoraggiando i finanziamenti e le sponsorizzazioni private delle piste e dei servizi di bike sharing, nominando “un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme”.
“La possibilità di realizzare la Mobilità Nuova passa attraverso un riequilibrio della spesa destinata ai trasporti: è necessario investire laddove ce ne sia bisogno – affermano i promotori della manifestazione del 4 maggio – Il che significa mettere i soldi dove si muovono le persone: invece oggi il 75% delle risorse pubbliche del settore vengono impiegate per soddisfare il 2,8% della domanda di mobilità (questa è infatti la quota di spostamenti quotidiani superiori ai 50 km), mentre agli interventi nelle aree urbane, al pendolarismo, al trasporto pubblico locale, alla ciclabilità e al trasporto individuale non motorizzato vengono lasciate le briciole”.
Con l’intento di cambiare questo stato di cose, il movimento Mobilità Nuova ha promosso anche la raccolta di firme (obiettivo un milione) per una legge di iniziativa popolare “che vincoli almeno i tre quarti delle risorse statali e locali disponibili per il settore trasporti a opere pubbliche che favoriscono lo sviluppo del trasporto collettivo e di quello individuale non motorizzato”.
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