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Impennata prezzi carburanti: guerra o speculazioni?
Carburanti
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Foto: Unsplash.com
“Fra un po’ vado a piedi” il motto di rassegnazione di tanti autisti di fronte all’impennata dei prezzi dei carburanti di questi giorni. L’improvviso e massiccio aumento è certamente da ricondurre alle tensioni createsi sui mercati dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin e dagli evidenti squilibri sulla catena d’approvvigionamento di petrolio. Ma il prezzo alla pompa è anche funzione di altri componenti, tipicamente italiani, che lo hanno spinto oltre i 2,3 euro al litro (+21% in una sola settimana per il diesel), toccando addirittura i 2,5 euro. Vette mai viste prima. Un fenomeno che Milano Finanza apostrofa “lo strano caso della benzina più cara del mondo”, e che il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani commenta così: “Stiamo assistendo ad un aumento del prezzo dei carburanti ingiustificato, che non è correlato alla realtà dei fatti, è una spirale speculativa su cui guadagnano in pochi”. Ma, allora, che cosa ha generato questo folle e repentino incremento dei prezzi?
Le cause sono molteplici, essendo molteplici i mattoncini che ne definiscono il prezzo finale. Innanzitutto, in Italia, come sappiamo, il prezzo dei carburanti è fortemente determinato da accise ed IVA, che insieme pesano per il 55% del prezzo della benzina e 51% del prezzo del gasolio. La miriade di accise del Bel Paese sono infatti le seconde più alte in tutta Europa, solo dietro ai Paesi Bassi. Introdotte decenni (alcune quasi un secolo) fa, nel 1995 si è deciso di accorparle in un’unica soluzione, ormai slegata dagli scopi originari, diventando di fatto una tassa che lo Stato impiega per gli usi più vari. A queste tasse si aggiunge poi l’IVA, che costituisce il 22% del prezzo finale, e il prezzo netto, ovvero il prezzo industriale ripulito delle imposte, che si scambia sui mercati.
Come giustamente spiegato da diversi quotidiani, la porzione di prezzo direttamente influenzata dallo shock del prezzo del petrolio (che pochi giorni fa ha raggiunto i 128 dollari al barile per poi ridiscendere e rimbalzare nuovamente) è il netto, che a ben osservare, era già iniziato a salire prima della guerra, a seguito della riattivazione economica e del ciclo invernale. Nello specifico, si parla di costi di estrazione del greggio (per un 42-53% del netto), raffinazione, trasporto e distribuzione (8-9%) del carburante finito. Gli esperti sostengono che un’ampia percentuale del netto, che oscilla quindi intorno al 40-50%, dipende da raffinazione e trasporto, fasi nelle quali si potrebbero annidare le speculazioni menzionate dal ministro, che potrebbero arrivare a 15-20 centesimi in più al litro.
Tuttavia sostenere l’esistenza di speculazioni è piuttosto complesso, senza poter stabilire l’impatto di un paio di fattori aggiuntivi: i rincari dei prezzi dell’energia si sono sicuramente ripercossi anche sui processi di raffinazione e trasporto. Normalmente, e a maggior ragione in tempi di guerra dove l’incertezza regna sovrana, le compagnie petrolifere tendono a tutelarsi quando il greggio sale di quotazione, facendo aumentare immediatamente i prezzi dei carburanti, che poi pero non ribassano subito quando il petrolio torna a calare. Inoltre, nel contesto europeo, la fiammata dei prezzi si deve anche alla recente svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, il cui rapporto è ormai sceso a 1,1. Questo comporta un differenziale maggiore rispetto al passato se tradotto in euro. Insomma, ne servono di più.
Come contrastare questi aumenti spropositati e salvare famiglie ed imprese? Va da sé che l’Italia poco controllo può avere sul prezzo del petrolio sui mercati internazionali. Così come l’attuale esecutivo ha ben poche responsabilità di fronte alle politiche energetiche cieche condotte negli anni precedenti, che ci hanno portato a dipendere enormemente da gas e petrolio russi. Di conseguenza, IVA e accisa sono sostanzialmente i due elementi su cui Draghi and Co. potrebbero agire direttamente per calmierare i rincari, anche considerando il fatto che la salita del prezzo dei carburanti si riflette pure in un considerevole aumento dell’introito per IVA. Il governo aveva infatti avanzato l’ipotesi di “accisa mobile” utilizzando l’extra gettito dell’IVA per compensare un provvisorio abbassamento dell’accisa. Questo giovedì, con il via libera di Bruxelles, ed in linea con quanto fatto in Francia e Germania, il governo ha varato un primo provvedimento che dovrebbe tagliare di 15 centesimi al litro il prezzo dei carburanti, dando così un po’ di respiro ad automobilisti, industriali e autotrasportatori. “Le misure – ha precisato la sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra – saranno coperte anche attraverso gli extra profitti generati dalle imprese che si trovano in una situazione di vantaggio dato l’andamento dei costi e dei prezzi di queste materie, vale a dire i big della produzione e distribuzione a partire dalla partecipata pubblica Eni”. Si tratta di attività che “stanno avendo dei profitti molto superiori alla media. Con queste risorse si potrebbe alleggerire il peso di chi sta sopportando un onere molto significativo sia dal punto di vista personale che della produzione”. La sottosegretaria garantisce che non sarà necessario un nuovo scostamento di bilancio. Vedremo. A livello Europeo è poi vero che andrebbe affrontata una riflessione più larga, che induca a stabilire un limite di prezzo a livello comunitario oltre il quale gli operatori europei non possono andare, sfruttando il potere contrattuale dell’UE. Come peraltro sottolineato dallo stesso Cingolani. Questo sperando che nel breve periodo il riassetto del prezzo del petrolio farà diminuire anche quelli dei carburanti.
Invece, di fronte agli slogan populisti di “aboliamo le accise”, ricordo che, in chiave ecologica, le accise sulla benzina non dovrebbero starci così antipatiche se abbiamo a cuore il pianeta. Opporsi alle tasse sui combustibili fossili per riabbassarne il prezzo, vuole dire opporsi alla transizione green. O sicuramente non incentivarla. Vi è poi quel piccolo cavillo tecnico secondo il quale una tassa o un’accisa serve a raccogliere proventi fiscali che a loro volta finanziano spesa pubblica e trasferimenti come pensioni, sussidi, bonus, etc. Se la levi, devi per forza anche tagliare una spesa, altrimenti il gioco è vizioso.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.