Ecuador: sentenza storica contro Chevron, 8 miliardi per danni ambientali

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“Anche se neppure tutto il denaro del mondo può pagare la perdita delle vite umane e i danni irreparabili dell’ecosistema, la cosa più importante ora è dimostrare al paese e al mondo intero che non bisogna arrendersi e che è possibile ottenere giustizia anche contro un gigante come Chevron”. E' il commento di Luis Yanza e Pablo Fijardo, avvocati delle popolazioni indigene che hanno accusato il colosso petrolifero di aver rovinato le loro vite e i loro territori, qualche mese prima della sentenza.

E la sentenza storica che le popolazioni indigene abitanti della foresta amazzonica ecuadoriana aspettavano da quasi 18 anni è finalmente arrivata. La condanna alla Chevron (ex Texaco) multinazionale statunitense del petrolio, è stata pronunciata lo scorso 14 febbraio. Anche se gli oltre otto milardi di dollari che l'azienda dovrà versare non riporteranno i morti in vita, non guariranno le persone che oggi lottano contro malattie come cancro e leucemie, non risaneranno l'ambiente irreparabilmente compromesso, il significato simbolico che una grande multinazionale venga riconosciuta colpevole di danni contro l'ambiente è sicuramente di grande impatto.

Il giudice di Lago Agrio (provincia di Sucumbios) Nicolás Zambrano ha dichiarato che “prove evidenti dimostrano la presenza di sostanze contaminanti nella zona che hanno causato i danni riportati dagli abitanti”. Anche se come dice Pablo Fijardo - avvocato delle popolazioni indigene ed ex dipendente Chevron - “le aspettative erano decisamente più alte rispetto alla condanna”. Secondo alcuni studi di valutazione ambientale, il risarcimento che l'azienda dovrebbe pagare sarebbe di almeno 100 miliardi di dollari, per questo le parti in causa stanno pensando di ricorrere in appello . Ma non sono gli unici, anche la Chevron ha subito diffuso un comunicato in cui parla di sentenza illegittima e con numerose parti oscure.

Gli abitanti della zona amazzonica nord orientale del paese, non lontano dalla frontiera colombiana che lottano da oltre 17 anni contro il gigante statunitense Texaco - oggi Chevron - si sono organizzati per chiedere giustizia per quello che viene considerato il peggiore disastro petrolifero della storia. I danni irreparabili che la compagnia statunitense ha portato nelle loro terre e nelle loro vite, durante gli oltre 25 anni in cui ha operato nel Paese sono enormi Politiche disumane che hanno contaminato terra, acqua e aria, portato malattie fino ad allora sconosciute che oggi colpiscono in queste zone in percentuali altissime, principalmente donne, anche se non compaiono in nessuna statistica. La compagnia è accusata di aver scaricato 464,8 milioni di barili (pari 16,27 milioni di litri) di acque contaminate da particelle di idrocarburi e metalli cancerogeni nei fiumi che attraversano le regioni di Sucumbios e Orellana, provocando – oltre a tutti gli altri danni – anche la contaminazione delle falde acquifere.

Gli abitanti di Sucumbios sono rappresentati in giudizio da Luis Yanza e Pablo Fajardo Mendoza (entrambi Premio Goldman 2008). Quest’ultimo da dipendente della Texaco è diventato il suo più temibile nemico. Stanco delle ingiustizie subite dalla popolazione da parte della compagnia statunitense, ha studiato leggi, è diventato avvocato ed ora difende gli interessi di circa 30.000 persone che hanno dovuto cambiare stile di vita, rinunciare alle proprie terre e che si sono ammalate, il tutto senza che nessuno chiedesse mai il loro consenso.

La battaglia legale inizia nel 1993, quando una rappresentanza delle popolazioni indigene, che in seguito si associano nella FEDAM – Frente de Defensa de la Amazzonia – si costituisce parte civile a New York contro la multinazionale statunitense Texaco, accusandola di aver contaminato l’ambiente e arrecato danni irreversibili alla salute delle persone a causa delle tecnologie illegali ed obsolete utilizzate durante le operazioni estrattive.

La richiesta di risarcimento iniziale è di 1,6 miliardi di dollari. Anche se è più corretto parlare di indennizzo, perché per questa catastrofe ambientale come sottolinea Pablo Fijardo “ogni risarcimento non potrà mai restituire la vita delle persone morte per il cancro e le altre malattie direttamente collegate all’indiscriminata attività estrattiva e per la bonifica del territorio sarà necessario molto tempo”. Quello che chiedono non è il denaro per uso personale quanto che l’impresa ripari il danno ecologico e sociale causato.

Due delle oltre quaranta etnie indigene presenti nella zona, sono completamente scomparse durante i primi cinque anni di attività estrattiva. Negli anni ’90 la compagnia simulò una bonifica dei territori, ma poi i supervisori Chevron vennero incriminati per falsificazione dei documenti che ne attestavano la bonifica. Tra le richieste della FEDAM anche l’installazione di un sistema sanitario che permetta di diagnosticare, curare e studiare i casi di cancro e un programma culturale che garantisca il recupero delle culture indigene.

Dopo dieci anni di rinvii a giudizio nei tribunali statunitensi, il processo è stato trasferito in Ecuador nel 2003, nella città di Lago Agrìo. Da tutto il mondo è arrivata la solidarietà alle popolazioni colpite dal disastro e numerose organizzazioni per i diritti umani tra le altre Amnesty International e Amazon Watch si sono unite alla richiesta di giustizia.

Elvira Corona
(inviata di Unimondo)

 

Approfondimento : la Texaco in Ecuador

La storia della Texaco nel piccolo paese sudamericano inizia nel 1964, con una concessione da parte del governo sud americano di turno, di circa 1.500 .000 ettari di territorio dove vivevano numerose comunità indigene in completa armonia con il territorio. La Texaco perfora oltre 300 pozzi di petrolio e opera nel paese fino al 1992, anno in cui decide di abbandonare il paese e cedere i suoi pozzi alla compagnia di stato. Ma i danni ormai sono già irreparabili, forse proprio per questo decide di abbandonare il paese. Vicino a ogni pozzo vengono scavate delle fosse, utilizzate per depositare i rifiuti tossici. Per la stessa operazione- denuncia la FEDAM – Texaco negli USA utilizzava serbatoi rivestiti di acciaio, mentre in Ecuador le piscine dove venivano riversati tonnellate di rifiuti – principalmente greggio, fanghi di perforazione intrisi di additivi e acque tossiche – non avevano nessun rivestimento .

Tutte le fosse vengono costruite col metodo del “collo d’oca” in modo che le acque con residui contaminanti si riversino nei fiumi e ruscelli contaminando così le fonti di acqua superficiali, ma anche le falde acquifere. Secondo la perizia di un esperto indipendente nominato da uno dei giudici di New York, Texaco ottenne un guadagno illecito di 8.310 milioni di dollari per non aver gestito appropriatamente i rifiuti del greggio, per non aver gestito le acque contaminate nei siti di perforazione, per non aver costruito riserve adeguate e per aver bruciato i gas – il cosiddetto gas flaring, contaminando l’aria anche a distanza di chilometri dai siti – anziché trattarli. La presenza di queste sostanze è riconosciuta come prova nel processo, ma paradossalmente Texaco continua a negare che queste possano causare danni alla salute.

La salute delle popolazioni indigene

Tutt’oggi non si sa con precisione quante persone siano morte per cause attribuibili alle male pratiche della compagnia petrolifera. Nessuno è in grado di fornire cifre certe, sopratutto perché la maggior parte delle persone muore in silenzio, nella zona infatti non ci sono ospedali o presidi medici specializzati in malattie come il cancro o leucemia. La loro emarginazione li condanna a una morte silenziosa senza troppe attenzioni, queste persone non fanno infatti parte di nessuna statistica ufficiale, né compaiono in nessun registro dove di solito vengono annotate le vittime del cancro. A dare un’idea della gravità della situazione sono gli studi realizzati da esperti per conto del tribunale, e pubblicati nel International Journal of Epidemiology nel 2002. Secondo questi esperti i tassi di leucemia sono tre volte più alti che nel resto del paese sopratutto nei bambini tra i 0 e 4 anni, il numero delle persone affette da cancro del 150% più alte e i tassi di aborto spontaneo 2,5 volte più alti rispetto alle donne che non vivono nelle zone di sfruttamento Texaco. Senza contate altre patologie come dermatiti, funghi della pelle e vari problemi respiratori.

La perdita delle culture indigena

Oltre ai danni fisici e ambientali, lo sfruttamento della Texaco ha prodotto la perdita della cultura delle comunità indigene che abitano la zona. Molti si sono piano piano abituati alle pratiche culturali tipicamente occidentali, come l’interesse per il denaro, per l’alcool e la perdita della loro lingua d’origine in favore di quella spagnola. La diminuzione della caccia e della pesca ha significato la perdita della loro alimentazione tradizionale, come conseguenza dell’inquinamento e contaminazione delle terre, molti contadini hanno perso le proprie terre da coltivare. Le popolazioni più colpite sono senza dubbio le comunità indigene che hanno perso gran parte dei loro territori ancestrali il loro fondamentale legame con la terra, che non rappresenta solo una questione si sussistenza economica, ma rappresenta anche il fondamento dei legami comunitari e spirituali.

Le responsabilità del governo ecuadoriano

Anche i governi che si sono succeduti tra il 1964 e i primi anni del 2000 non sono esenti da responsabilità. Tra il 1994 e il 1995 la Texaco realizza una bonifica delle zone della concessione governativa. L’accordo per la bonifica e la pulitura dei siti venne stabilita a 4 milioni di dollari ed avrebbe esonerato la Texaco da ogni futura responsabilità al cospetto del governo ecuadoriano. Le perizie dei ricorrenti hanno invece stabilito che una reale riparazione dei siti sarebbe costata oltre 6 miliardi di dollari e che la bonifica realizzata è stata del tutto insufficiente a rimediare all’entità del disastro. Nell’ottobre del 1998 viene sottoscritto dal governo l’Atto Finale che esonera la Texaco da qualsiasi responsabilità in Ecuador, e poco dopo il Governo comunica ufficialmente di uscire dalla causa e la Texaco viene liberata da qualsiasi impegno nei confronti della Repubblica dell’Ecuador. Solo nel 2002 un cambio di rotta: il governo dichiara solidarietà alla FEDAM . Nell aprile 2008 viene poi resa nota la perizia indipendente realizzata dall’ingegnere Richard Cabrera per la quantificazione monetaria necessaria alla riparazione dei danni ambientali prodotti dalla Chevron Corporation nella selva amazzonica ecuadoriana nelle provincie di Orellana e Sucumbios. La cifra parte da un minimo di 7 miliardi di dollari fino ad un massimo di 16 e verrà poi rettificata in 27 miliardi di dollari, la cifra più alta della storia che viene chiesta a un’impresa privata per riparare i danni del proprio operato.

Chevron cerca di delegittimare il processo

Dal 1993 a oggi la Texaco che viene acquisita dalla Chevron nel 2003, è riuscita a protrarre il processo fino a qualche giorno fa. Si è sempre proclamata innocente, prima dichiarando che le attività estrattive non sono direttamente riconducibili ai disastri di cui è accusata, e successivamente scaricando tutte le responsabilità sul governo ecuadoriano, al quale cedette i pozzi. Più recentemente ha dichiarato che gli indigeni che accusano la compagnia vogliono solo guadagnare dei soldi con questo processo, e poco prima della sentenza finale è vicina continuava il suo tentativo di delegittimazione della causa e delle persone coinvolte. Nel giugno del 2009 la compagnia ha divulgato su internet alcuni video che dimostrerebbero un accordo tra il giudice ecuadoriano Juan Núñez , incaricato del caso e alcuni membri del partito Alleanza Paese, del presidente Correa. Secondo Chevron queste registrazioni proverebbero che Núñez avrebbe accettato dei soldi da alcuni politici del paese per condannare l’impresa. Il governo si dichiara completamente estraneo alla faccenda anche perché chiarisce di non essere più parte in causa e accusa la multinazionale di crimini contro l’umanità, dato che intere etnie dell’Amazzonia sono completamente scomparse a causa della contaminazione.

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