Clima: a Cop10 il costo dei ricchi e dei poveri

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Mentre si avvia alla conclusione il vertice mondiale sui cambiamenti climatici Cop 10 di Buenos Aires, Climate Action Network, la rete internazionale di organizzazioni ambientaliste ha assegnato il primo premio come "delegazione peggiore" nel contesto dei negoziati in corso a quella degli Stati Uniti che hanno chiesto di cancellare dall'ordine del giorno l'invio di input da questa Cop ad altre conferenze intergovernative. Coincidenza vuole che nei prossimi mesi siano previste due importanti conferenze che riguardano proprio il cambiamento climatico, una sulle Piccole Nazioni Isola in Via di Sviluppo e una sull'Emergenza Disastri, per non parlare della quattordicesima riunione della Commissione sullo Sviluppo Sostenibile, che verterà in buona parte sull'energia". Secondo Legambiente nei Paesi industrializzati le emissioni di CO2 sono cresciute del 7%, con una consistente responsabilità del settore trasporti. Molti capi delegazione in plenaria, in nome dei Paesi meno sviluppati, hanno sottolineato come i disastri ambientali riconducibili al cambio di clima siano drammaticamente in aumento e come l'adattamento sia quindi una questione cruciale.

Greenpeace e Nef (New Economics Foundation) hanno presentato un rapporto che presenta i costi dei cambiamenti climatici. Se il livello del mare salisse di un metro nel 2100, come prevedono alcuni studi, l'Italia dovrebbe proteggere quasi interamente le sue coste per evitare alluvioni e danni economici significativi. Il totale per le aree a rischio inondazione tra il 2002 e il 2010 varierebbe dai 130 ai 270 milioni di euro. "È scandaloso che i Paesi ricchi, responsabili del cambiamento climatico, spendano miliardi per il loro adattamento e abbiano previsto appena 0,41 miliardi di dollari per aiutare i Paesi poveri ad affrontare il problema. Ad oggi, poi, solo una minima parte di questa somma è stata realmente messa loro a disposizione" afferma Roberto Ferrigno, direttore campagne di Greenpeace. Greenpeace e Nef ritengono che i Paesi ricchi dovrebbero spendere, per aiutare i Paesi in via di sviluppo, almeno la stessa cifra (ovvero 73 miliardi di dollari) impiegata per alimentare il cambiamento climatico, sostenendo i combustibili fossili. Negli Stati Uniti, con 20.000 chilometri di costa e oltre 32.000 di paludi costiere, secondo l'Ocse saranno necessari 156 miliardi di dollari, pari al 3% del Pil, per adattarsi all'innalzamento del livello del mare di un metro. Per proteggere le coste europee già minacciate dall'erosione occorreranno, invece, dai 6 ai 32 miliardi di dollari.

Intanto la Commissione Europea non ha approvato il piano italiano sull'emission trading dell'Italia e conferma l'inadempienza del governo italiano sui passaggi fondamentali per l'applicazione del protocollo di Kyoto. Per il Wwf "la mancata ratifica della direttiva sul commercio delle emissioni è una grave mancanza visto che i meccanismi di questa direttiva saranno in vigore dal primo gennaio.

"Il governo italiano ha autorizzato quote eccessive di emissioni alle imprese elettriche tali da consentire l'aumento di emissioni di gas serra in questo settore di oltre il 20%. Sottomettendosi agli interessi di assoelettrica (l'associazione che raggruppa le grandi imprese di produzione elettrica) ha evitato di assegnare i permessi di emissione ai singoli impianti come previsto invece della direttiva". E' proprio questo escamotage, creato per evitare i vincoli sulle emissioni previsti dalla direttiva, che ha causato la bocciatura da parte della commissione europea. "Un danno anche per le imprese italiane che si stanno comportando correttamente utilizzando combustibili puliti e fonti rinnovabili, anche i più virtuosi infatti si troveranno in una situazione paradossale di violazione della direttiva comunitaria a partire dal 1 gennaio" ha detto Andrea Masullo responsabile clima e energia WWF Italia.

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