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Un piccolo allevamento cambia la vita ai migranti in Mali
Cambiamento climatico
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Foto: Lucia Michelini ®
BAMAKO:- Il Mali, di cui poco o nulla si parla in Italia, è uno dei posti al mondo ad essere più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, con la conseguenza che povertà e migrazione giovanile non cessano di affliggere la popolazione locale. Nonostante questo sia di fatto un territorio molto ricco, nel paese si estrae oro, petrolio e uranio etc., ai maliani delle materie prime presenti rimane ben poco.
A Kambila, pochi chilometri da Bamako, capitale del Mali, in questi giorni si sta tenendo una formazione molto particolare. Tema delle lezioni: tecniche di pastorizia domestica e allevamento di capre.
Perché un simile progetto? È presto detto. I corsisti selezionati sono migranti di ritorno, sfollati o espulsi da paesi limitrofi o da paesi europei. Soggetti vulnerabili quindi, che nella vita non hanno avuto la possibilità di seguire una aspirazione professionale. È per questo che il partenariato tra le due ONG italiane COOPI-ENGIM, tramite un progetto finanziato dall’AICS Dakar (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), ha pensato di puntare sulla formazione per permettere a queste persone di avviare un piccolo allevamento familiare che possa garantire contemporaneamente una fonte di reddito.
Nonostante la calura di fine ottobre, gli studenti selezionati per la partecipazione al corso sono tutti presenti, anche diverse mamme con i loro piccolo bambini che portano in classe piuttosto che rinunciare alle lezioni.
Laetitia Fauconnier, capo progetto ENGIM, racconta: “È stata una sfida far corrispondere i contenuti del corso ai diversi background dei partecipanti; era necessario che i contenuti fossero chiari a tutti, considerando i loro vari percorsi di vita e la loro diversa formazione”. In Mali il tasso di alfabetizzazione raggiunge appena il 38,7%.
Tecniche di allevamento domestico, malattie e alimentazione animale, ma anche l’ABC di come si gestisce un'impresa e un business plan. “In seguito alla formazione, è prevista l’assegnazione di 4 capre a studente (animali che ben si adattano al clima saheliano e che rappresentano un mezzo di sussistenza fondamentale per la produzione di carne e latte), 3 femmine e 1 maschio per garantirne la riproduzione e, quindi, la sostenibilità economica nel tempo”, spiega la capo progetto.
Adoullaye Coulibaly, dell’Associazione dei Migranti di Ritorno del circondario di Kati, presente all’iniziativa, sta cercando di avviare un progetto dedicato a chi ha dovuto far ritorno in Mali: “Molti dei migranti che rientrano in Africa, dopo essere stati espulsi dall’Europa o da altri Stati Africani, spesso non sono accettati dalla società: vengono considerati come dei perdenti. Sono stigmatizzati ed è per questo che a volte rimangono qua giusto il tempo per raccogliere i soldi necessari per affrontare di nuovo il viaggio e ripartire”.
Le politiche migratorie dell’Unione Europea non considerano infatti che il rimpatrio fine a sé stesso è tanto inutile quanto deleterio.
Continua Coulibaly: “L’integrazione è alla base per permettere a queste persone di voltare pagina. Purtroppo in Mali chi è debole e povero spesso è escluso. Quindi avere una fonte di reddito, seppur minima, è doppiamente importante, non solo per portare a casa uno stipendio ma anche per riguadagnare un ruolo nella comunità. Chi non ha questa possibilità preferisce morire, piuttosto che essere additato come fallito. Per questo sto facendo di tutto per avviare un progetto di integrazione dedicato a loro. Vorrei puntare sull’agricoltura biologica, producendo compost dagli scarti organici che qua sono considerati come rifiuti. Ecologia e lavoro, queste le parole vincenti. E il connubio funziona, tant'è che dopo due anni i migranti di ritorno che avviano un allevamento o un’attività agricola si riscattano, riuscendo anche a sposarsi e ad avere delle famiglie”.
Le parole di uno dei beneficiari della formazione conferma questa voglia di ripartire: “Non vedo l’ora di ricevere gli animali”, spiega Idiatou Diallo, giovane ragazza maliana di appena 22 anni, anch’essa migrante di ritorno. “Ho lavorato in Senegal come cercatrice d’oro. Era un lavoro faticoso e molto pericoloso, ogni anno tanti lavoratori perdono la vita perché rimangono intrappolati nei profondi cunicoli scavati a mano. Dopo sei anni mi sono detta che non ne valeva più la pena, la paga era bassissima e la paura troppa, così nel 2019 sono tornata in Mali.”
Idiatou non è l’unica a testimoniare l’importanza di attività di questo tipo. Molti migranti presenti in aula sono rientrati in Mali da paesi poco distanti, Mauritania, Costa d’Avorio, Algeria, Libia, ma anche da Europa e Medio Oriente. Tutti in compagnia di profonde cicatrici scavate nella memoria. Questo progetto insegna come dalla formazione professionale possano nascere le basi per una società pronta ad investire sul suo territorio, senza dover fare i conti con centinaia di persone che ogni anno si mettono in pericolo per affrontare un viaggio incerto ed un destino che lo è ancor di più.
Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.