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Inquinamento atmosferico, l’Ue avvia una nuova procedura d’infrazione contro l’Italia
Cambiamento climatico
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Foto: Unsplash.com
Gli Stati membri dell’Ue avrebbero dovuto adottare e presentare i loro primi programmi nazionali di controllo dell’inquinamento atmosferico alla Commissione europea entro il 1° aprile 2019 ma, ad oltre un anno di distanza e «nonostante diversi solleciti», l’Italia (insieme al Lussemburgo) non ha ancora ottemperato all’obbligo: per questo da Bruxelles è arrivata una lettera di costituzione in mora – ovvero il primo step previsto dalle procedure di infrazione Ue – concedendo al nostro Paese altri 3 mesi per l’adozione del programma. Altrimenti la procedura andrà avanti.
A stabilirlo è il mancato rispetto della della direttiva (UE) 2016/2284 concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici (direttiva NEC): la direttiva stabilisce impegni nazionali di riduzione delle emissioni, mirando ad ottenere livelli di qualità dell’aria che non comportino significativi impatti negativi e rischi per la salute umana e l’ambiente. In questo contesto tutti gli Stati membri devono adottare programmi di controllo dell’inquinamento atmosferico nei quali definiscono le modalità per il raggiungimento delle riduzioni concordate delle loro emissioni annuali, per poi comunicarli alla Commissione Ue. Ma l’Italia ancora non l’ha fatto.
Eppure la pandemia da Covid-19 ancora in corso ha messo in particolare evidenza il ruolo che l’inquinamento atmosferico è in grado di giocare nel peggiorare la salute delle persone: «L’inquinamento atmosferico – spiegano I’Istituto superiore di sanità, l’Ispra e il Snpa – aumenta il rischio di infezioni delle basse vie respiratorie, particolarmente in soggetti vulnerabili, quali anziani e persone con patologie pregresse, condizioni che caratterizzano anche l’epidemia di Covid-19. Le ipotesi più accreditate indicano che un incremento nei livelli di PM rende il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicazioni della malattia da coronavirus. Su questi temi occorre uno sforzo di ricerca congiunto inter-istituzionale», che proprio Iss, Ispra e Snpa hanno iniziato a concretizzare negli scorsi mesi avviando uno studio epidemiologico nazionale per indagare i legami tra inquinamento atmosferico e Covid-19.
Ma non è necessario guardare alla pandemia degli ultimi mesi per capire i pesanti effetti che l’esposizione all’inquinamento atmosferico comporta per i cittadini italiani. Secondo l’ultimo Air quality in Europe report pubblicato oggi dall’Agenzia europea dell’ambiente, ogni anno tre soli inquinanti atmosferici mietono 76.200 vittime: l’Italia è infatti il primo in Europa per morti premature da biossido di azoto (NO2) con circa 14.600 vittime all’anno, ha il numero più alto di decessi per ozono (3.000) e il secondo per il particolato fine PM2,5 (58.600).