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Unione Europea: cancellata la pena di morte, porte aperte alla "tolleranza zero"?
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Non è durata neppure l'arco di una settimana l'iniziativa di una associazione svizzera di raccogliere le firme per indire un referendum sulla reintroduzione della pena di morte per chi compie un omicidio in seguito a una violenza di tipo sessuale. La Cancelleria federale elvetica aveva dato il nulla osta formale per la raccolta delle firme, un passo preliminare ma altamente significativo che avrebbe potuto dare il via libera a una consultazione popolare dall'esito incerto. Pochi giorni dopo però la stessa associazione promotrice del referendum, forse per il clamore riportato, forse per le diffuse proteste, fa marcia indietro dicendo che la proposta era nata per sensibilizzare l’opinione pubblica su un sistema giudiziario che starebbe completamente “dalla parte dei criminali”.
Questo episodio, che potrebbe sembrare insignificante, è invece una cartina di tornasole per riflettere sull'atteggiamento europeo intorno alla pena di morte e più in generale sulla concezione diffusa del diritto. Viviamo in una sorta di perenne ambiguità: da un lato si registrano proclami, grida, slogan arcigni e violenti, soprattutto in seguito a qualche efferato episodio di criminalità, che auspicano il ritorno della pena capitale, dall'altro lato sembra proprio che stia prendendo piede ogni giorno di più il rigetto di un tipo di giustizia in cui lo Stato può disporre della vita dei suoi cittadini, anche se colpevoli di gravi reati.
Dando uno sguardo generale, dopo l’approvazione nel dicembre 2007 da parte dell’Assemblea generale dell’ONU della risoluzione per la moratoria della pena capitale in tutto il mondo (rinnovata l’anno successivo), alcuni Stati sono diventati abolizionisti, alcuni stanno rivedendo i codici penali nel senso più restrittivo (persino in Cina si discute di diminuire il numero dei reati per cui è possibile comminare la pena di morte), su altri regimi sta invece aumentando la pressione internazionale. Notizie in controtendenza arrivano dal Giappone in cui il boia è tornato a lavorare dopo tre anni e in cui l'85% della popolazione è favorevole alla pena capitale, e dalla California dove il governatore Schwarzenegger ha stanziato 65 milioni di dollari per riammodernare il braccio della morte del carcere di San Quintino.
In cammino è ancora lungo ma, come dimostra il rapporto 2010 sulla pena di morte dell'associazione "Nessuno tocchi Caino”, pur tra mille difficoltà e passi incerti, si sta andando avanti. Emerge però un problema più profondo che riguarda il rapporto tra le dichiarazioni e la prassi.
Affinché si continui questo cammino occorre denunciare con forza una grande ambiguità in questi delicati temi nel senso che, alle solenni firme davanti alle telecamere non corrispondono il più delle volte concreti comportamenti. Anzi il crescere del senso di insicurezza, presente sia a oriente che a occidente seppure declinato in maniera diversa, fa gridare, come è avvenuto in Svizzera, a una giustizia modellata sul principio della “tolleranza zero”. Sarebbe molto triste che la moratoria o l’abolizione della pena di morte fosse accompagnata da un peggioramento generale del senso di giustizia.
Probabilmente questo è l'aspetto centrale: la lotta contro la pena di morte deve essere solamente la punta di un iceberg che coinvolge tutta la gamma dei diritti umani. Ogni diritto è inestricabilmente legato a un altro. Perché non c’è molta differenza tra lasciare morire in carcere un detenuto (i casi si susseguono in maniera impressionante) e il condannarlo a morte, come non c’è differenza tra abbandonare gli immigrati tra le braccia di regimi spregiatori dei diritti umani e compiere direttamente azioni repressive. In questo caso l’omissione di soccorso e di informazione diventa attiva complicità con i metodi che chi si batte per un futuro migliore vuole combattere.
Purtroppo in Europa sembra sia presente una forma di discrasia. L'Unione Europea vincola l'adesione di altri Stati all'abolizione della pena di morte dal proprio ordinamento come recentemente è stato richiesto da Bruxelles alla Bielorussia; il Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale nata nel 1949 che conta 47 stati membri, praticamente tutti quelli europei) tramite una decisiva e fondamentale istituzione qual è la Corte europea per i diritti dell’uomo, tutela i diritti dei cittadini attraverso pronunciamenti che hanno conseguenze positive nelle normative dei singoli stati, come per esempio, la Turchia; il nostro continente è sempre in prima linea nella battaglia contro la pena di morte.
D'altra parte negli Stati membri e fondatori si adottano misure coercitive più severe, soprattutto contro immigrati stranieri ma anche contro i diversi, mentre movimenti politici di successo utilizzano un linguaggio volgare che denota una pericolosa tendenza a considerare la pena in sé una giusta e doverosa punizione per il reato commesso, e non un modo di riportare il colpevole a pieno titolo nella società dei cittadini liberi. Cacciato il fantasma della pena di morte sono proprio l'intolleranza, il razzismo, soprattutto in chiave anti islamica, a serpeggiare in Europa: ed è questo il terreno per un rinnovato impegno civile.
Piergiorgio Cattani
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