Iran: la repressione non ferma le proteste

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Nel corso di una delle numerose presentazioni in giro per l'Italia del suo ultimo romanzo, "Il cuore del nemico" abbiamo potuto incontrare Bijan Zarmandili, uno dei più attenti osservatori della situazione internazionale e in particolare del Medio Oriente. Iraniano di nascita, si è trasferito a Roma nel 1960. Attualmente, tra le tante attività, collabora con la rivista di geopolitica Limes. Con lui ovviamente abbiamo parlato dell'Iran che si trova al centro di una partita decisiva per il futuro delle relazioni internazionali: non è solo la questione del nucleare ma anche la possibilità di portare quelle regioni sulla via del rispetto dei diritti umani.

“Benché siano filtrate molte notizie all’esterno” ci dice Zarmandili con la sua voce calma e suadente “non ci si rende conto di quanto sia stata brutale la repressione dell’anno scorso, che continua anche in questi giorni, in seguito alle dimostrazioni di piazza per protestare contro la rielezione di Ahmadinejad a presidente della Repubblica che già nel suo primo mandato aveva imposto una ulteriore sterzata autoritaria al regime. Numerosissime sono state le vittime. La polizia e le forze paramilitari si sono accanite con ferocia verso persone inermi: non si contano gli arresti, le torture e le sparizioni. Insomma una repressione del genere è inaudita persino per gli standard mediorientali”.

Dal giugno dell’anno scorso si susseguono le manifestazioni e le azioni simboliche, sempre non violente, che rischiano spesso di non venire alla luce, cancellate dalla disinformazione e dalla repressione, come ricostruisce attentamente un documento di Amnesty International pubblicato il 14 maggio. I prossimi giorni saranno decisivi per capire se l'onda verde (come è stato chiamato il movimento di lotta) è ancora forte: in maggio per la prima volta il presidente è stato apertamente contestato a un comizio, mentre si preannuncia una mobilitazione di massa per il 12 giugno, primo anniversario della contestata elezione di Ahmadinejad.

Continua il giornalista: “Tuttavia anche il movimento di protesta è qualcosa di nuovo, perché sta portando istanze politiche e sta coinvolgendo numerose personalità che contano. È riuscito però ad intercettare in parte il malcontento generale che serpeggia da anni nella popolazione ma che di rado ha potuto esprimersi. Quando questo disagio si salderà completamente con una piattaforma politica allora la Repubblica islamica potrebbe entrare in una nuova fase, perché così non può andare avanti. La soluzione non potrà provenire dall’esterno, come accadde ai tempi di Khomeini, ma sarà da dentro che si giungerà, in tempi mediamente brevi, a un cambiamento”.

Esistono comunque molti fattori esterni che possono influire sull’evoluzione di questo braccio di ferro tra le istanze di rinnovamento e il desiderio del regime di mantenere lo status quo. La questione del nucleare è al centro dello scenario internazionale. “Occorre seguire attentamente l’evolversi della situazione” ci dice Zarmandili “perché nulla è ancora scontato. Se nei mesi scorsi sembrava molto probabile, se non imminente, un intervento militare israeliano, oggi sembra ci sia più spazio per la diplomazia. Ma un colpo di mano, una fuga in avanti, una rottura improvvisa sono sempre possibili. Tuttavia neppure un bombardamento chirurgico sarebbe risolutivo ma infiammerebbe ulteriormente il contesto medio orientale, favorendo in ultima analisi gli Ayatollah”.

Intorno all’Iran dunque si muove la politica internazionale ben sapendo che un’arma atomica in mano a un regime sanguinario altererebbe gli equilibri strategici. L’accordo a tre Iran-Turchia-Brasile (con Lula ai ferri corti con l’amministrazione Obama) sul combustibile nucleare dimostra il protagonismo di nuovi attori emergenti diversi dai cinque membri con diritto di veto all’ONU. Non a caso Mosca si è improvvisamente riavvicinata agli Stati Uniti, temendo di perdere il proprio ruolo nella crisi.

Piergiorgio Cattani

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