Saharawi: il popolo senza patria del deserto e l'ambiguità europea

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Alle volte accade che, davanti a un sostanzioso interesse comune, Stati incapaci di trovare intese e accordi tra di loro in qualsiasi altro ambito e nazioni completamente diverse per cultura, storia, situazione sociale ed economica, riescano a dimenticare tutto in nome di una mutua e durevole collaborazione. È il caso della tormentata e irrisolta questione del Sahara occidentale, il paese occupato illegalmente dal Marocco 35 anni fa: ebbene, al di là delle dichiarazioni di facciata, Spagna, Mauritania e ovviamente Marocco sono concordi ad impedire a questo popolo del deserto di godere dei propri diritti di nazione.

La storia o meglio la non storia del Sahara occidentale (Stato parzialmente riconosciuto a livello internazionale) e del suo popolo, i Saharawi, comincia con il processo di decolonizzazione degli anni 60: anche la Spagna, che controllava il Marocco e le zone desertiche meridionali, si avviava a concedere in quegli anni l’indipendenza ai suoi possedimenti sahariani.

Da allora la presenza marocchina nel territorio s’è fatta sempre più massiccia. Nel 1975 un verdetto della Corte di giustizia dell’ONU stabiliva il diritto all’autodeterminazione degli abitanti del Sahara occidentale definendo illegale l’occupazione delle forze straniere. Nello stesso anno, dopo la morte del Generalissimo Franco, il Marocco dichiarò la propria sovranità sul Sahara occidentale dando il via alla cosiddetta “Green March” cioè la “pacifica” marcia-invasione di 350 mila marocchini nel territorio a sud del Saguia el-Hamra (il “canale rosso” che segnava il confine con il Sahara spagnolo).

Pochi giorni prima le truppe del Marocco, appoggiate da quelle della Mauritania e con il sostanziale accordo della Spagna, erano entrate in forze nel paese dividendolo in due e costringendo gran parte degli abitanti di etnia saharawi a rifugiarsi in campi profughi gestiti dall’ONU presso la città algerina di Tindouf, oggi popolati da circa 175.000 persone.

Nel 1976 veniva proclamata la Repubblica Democratica Araba Saharawi (SADR), riconosciuta alcuni anni dopo dall’Unione africana ma mai dalla Lega araba. Invece di una pacificazione seguì una lunga e sanguinosa guerra tra l’esercito marocchino e il Fronte Polisario, il movimento di liberazione nazionale saharawi spalleggiato dall’Algeria.

Dal cessate il fuoco, raggiunto sotto l’egida delle Nazioni Unite nel 1992, svariati piani furono predisposti per risolvere la questione attraverso progetti di referendum, dichiarazioni di autonomia, richieste di aiuto: oggi tutto è sospeso, mentre il governo saharawi in esilio ha proclamato dal 2005 l’inizio di un “Intifada per l'indipendenza” a seguito del deterioramento della situazione.

In particolare l’ascesa al trono del Marocco di Mohammed IV, sovrano che gode di molta stima in occidente e che ha realizzato nel suo paese importanti riforme sociali, segna un rinnovato nazionalismo marocchino e una nuova repressione in Sahara occidentale, con l’espulsione di centinaia di immigrati definiti illegali (in realtà erano Saharawi che tornavano a casa loro) molti dei quali sono morti nel deserto. La critica verso questa politica è aspra e concorde in tutte le associazioni per i diritti umani. In 35 anni l’occupazione marocchina ha portato alla costruzione di un muro di sabbia con tratti fortificati che corre da nord a sud per quasi 2500km e che taglia in due il territorio conteso.

In questo contesto sta emergendo la figura di Aminadou Haidar, attivista saharawi e leader del movimento non violento per l’indipendenza, più volte incarcerata e protagonista nel dicembre 2009 di uno sciopero della fame in seguito al suo arresto dopo un'incredibile vicenda. Di ritorno dalle isole Canarie venne fermata dalle autorità marocchine all'aeroporto di El-Aaiùn, capitale del territorio occupato e sua città di residenza, solo per avere lasciato in bianco, sui suoi documenti di viaggio, lo spazio in cui si deve scrivere la cittadinanza e per aver scritto Sahara occidentale anziché Marocco nello spazio riservato all'indirizzo. Un'azione di disobbedienza civile, secondo i canoni della nonviolenza, per la quale venne immediatamente riportata alle Canarie con la compiacenza delle autorità spagnole che pure le comminarono € 180 di multa per aver turbato l'ordine pubblico. Dopo un mese di digiuno e la pressione dell’Onu e di associazioni umanitarie, Haidar poté ritornare nella sua patria virtuale dove continua tra mille impedimenti la sua battaglia.

Ma è l'ambiguità europea, soprattutto da parte di Spagna e Francia, a destare sconcerto e preoccupazione. Recentemente il governo spagnolo ha accettato come ambasciatore del Marocco a Madrid un ex attivista Saharawi passato poco tempo fa alla causa marocchina: una nomina vissuta come uno schiaffo e una presa in giro dal governo in esilio; singoli eurodeputati denunciano la vendita di armi dalla Spagna al Marocco; infine il veto francese a inserire nella risoluzione ONU n. 1920 (approvata il 30 aprile 2010 per prorogare la missione dei caschi blu MINURSO di un altro anno il ventitreesimo) l’esplicito riferimento alla tutela dei diritti umani delle popolazioni saharawi. Intanto tutto resta come prima e i profughi continuano a vivere nei campi dove “il vento picchia sulle grandi tende”, come cantano i “Modena City Ramblers” nella loro canzone “Radio Tindouf”.

Piergiorgio Cattani

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