Gerusalemme è la questione chiave nella risoluzione del conflitto

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L’approvazione da parte del Governo israeliano di permessi per la costruzione di 238 nuove unità abitative a Gerusalemme Est, oltre ad avere suscitato più di qualche reazione polemica da parte della Comunità internazionale, riaccende i fari su difficoltà e problematiche aldilà della Green line, dei territori occupati dal 1967 in poi. I permessi rilasciati nei giorni scorsi, infatti, riguardano esclusivamente insediamenti come Ramot e Pisgat Ze’ev: chi potrà costruire nuove case, in pratica, saranno i coloni, mentre persiste il problema irrisolto del sovraffollamento nei quartieri abitati dai palestinesi. “A Gerusalemme Est non è mai solo una questione di burocrazia, e non è mai solo una questione municipale o una questione di sviluppo urbano.

Tutto ciò che accade a Gerusalemme Est è una questione politica”, dichiara Orly Noy, portavoce dell’associazione israeliana Ir Amim, spiegando i problemi legati alla mancanza di un piano urbanistico per la città. L’ultima proposta, intitolata “Masterplan 2000”,infatti, non è mai stata approvata, e non avrebbe comunque risolto la situazione. Come denunciato in un documento pubblicato dall’associazione ACRI (in pdf), il piano non tiene conto a sufficienza del notevole aumento demografico della popolazione palestinese. “La questione di Gerusalemme è senza dubbio una delle più importanti nel conflitto, forse la più importante. È la questione chiave nella risoluzione del conflitto”, commenta Noy, che risponde ad alcune delle nostre domande.

Perché il Masterplan 2000 non è stato approvato?

Il piano, presentato dal vecchio sindaco, era praticamente pronto oltre un anno e mezzo fa, e avrebbe potuto essere depositato già da un pezzo per essere condiviso e discusso con i residenti, come prevede la legge. Da allora fino ad oggi, tuttavia, si presume che il piano sia stato congelato dal ministro degli Interni Eli Yishai, essendo ritenuto troppo generoso nei confronti dei palestinesi in relazione ai permessi di costruzione.

Cosa comporta la mancanza di un piano regolatore per la città di Gerusalemme?

Le conseguenze sono molto rilevanti. Senza un Piano Regolatore Generale valido non possono essere rilasciati permessi di costruzione. Questo significa che, dal 1967 in poi, sono stati concessi solo pochissimi permessi per costruire. Stiamo parlando di una popolazione che è cresciuta da 70.000 a quasi 300.000 abitanti, solo prendendo in considerazione i palestinesi di Gerusalemme. Hanno chiaramente bisogno di un posto in cui vivere. Non essendo in grado di ottenere regolari permessi per costruire, devono farlo illegalmente, con la costante minaccia di vedere le proprie case distrutte.

20.000 delle 46.000 unità abitative di Gerusalemme Est sono state costruite senza permessi. La soluzione è abbatterle tutte?

Credo che il comune abbia capito che non si tratta solo di una questione municipale e che la comunità internazionale non approverà mai la distruzione di tutte le case. Non credo, pertanto, che tutte le case senza permesso di costruzione verranno demolite, ma la situazione è come una roulette russa, perché i palestinesi non sanno mai quando e dove il comune colpirà successivamente. Quindi decine di migliaia di persone vivono sotto la costante minaccia di veder demolire la propria casa, e, quando tornano dal lavoro, questa potrebbe non esserci più. La situazione è gravissima e la soluzione deve essere di tipo politico e non municipale.

Come si evolverà la situazione in futuro, considerando l’aumento di popolazione che si verificherà nei prossimi anni?

Si tratta semplicemente di una continuazione della realtà esistente: la gente lascerà la città, se ha mezzi sufficienti per farlo, o vivrà in condizioni di sovraffollamento. Gerusalemme Est è già oggi uno dei luoghi più affollati di Israele. L’alternativa è continuare a costruire senza permessi, e credo che la tendenza a costruire illegalmente a Gerusalemme Est aumenterà.

Il Masterplan in questione risolverebbe la situazione?

Il Piano Regolatore Generale prevede determinate possibilità di costruzione per i palestinesi in alcune zone. Ma non risolve il problema legato alla difficoltà di ottenimento dei permessi di costruzione da parte dei palestinesi. Pensiamo all’obbligo di dimostrare la proprietà in una città dove non vi è quasi mai stata un'adeguata registrazione dei terreni. E pensiamo, ad esempio, alla necessità di prevedere un numero sufficiente di parcheggi per palazzi di un certo numero di piani: a Gerusalemme Est, così densamente popolata, non c'è posto per costruire aree destinate ai parcheggi. Non basta, quindi, un piano regolatore: devono essere modificati alcuni dei requisiti per ottenere un permesso di costruzione affinché i palestinesi siano effettivamente in grado di costruire e vivere come si deve nella loro città.

Spesso assistiamo a proteste e rivolte da parte dei palestinesi di Gerusalemme Est. Sarebbero disposti a collaborare con le autorità israeliane?

I palestinesi sono disposti a cooperare se le opere fatte portano loro dei benefici. Purtroppo quello che continuiamo a vedere è che lo sviluppo è destinato a servire quasi esclusivamente l'interesse dei coloni israeliani, e non dei residenti palestinesi. Si può prendere come esempio Silwan, in cui c'è un bellissimo parco nazionale, la Città di David, gestito da un'organizzazione di estrema destra. Ma oltre i confini del parco nazionale non ci sono investimenti nel villaggio di Silwan. Se la municipalità di Gerusalemme avesse seriamente intenzione di investire nei villaggi palestinesi per il loro bene non credo che i palestinesi protesterebbero.

Michela Perathoner (inviata di Unimondo)

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