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Silwan: un enorme progetto di colonizzazione tra scavi e turisti
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“Tutto quello che accade a Gerusalemme ha uno sfondo politico, anche l’archeologia. E questo sito rappresenta un caso di studio estremo.” E’ questo il punto di partenza per Yonathan Mizrachi e gli altri archeologi che come lui aderiscono all’associazione Emek Shaveh e accompagnano turisti e interessati nei tour alternativi all’interno di uno dei siti archeologici più discussi di tutta Israele: la città di David.
“I siti archeologici appartengono a tutti, non solo ai coloni o a Israele. Inoltre crediamo che il governo abbia la responsabilità di preservare i siti archeologici in qualunque luogo si trovino, in modo che possano essere accessibili alla comunità intea”, spiega la nostra guida. Il sito in questione, situato nel villaggio di Silwan a Gerusalemme est, è, infatti, gestito da un’organizzazione di coloni, la Elad Association, che secondo Yonatahn non amministrerebbe i reperti in maniera neutrale.
“Per noi è importante riflettere da un lato sulla relazione che intercorre tra l’archeologia e il conflitto, ma anche tra l’archeologia e la comunità, la popolazione locale. Il rapporto tra la gestione dei luoghi turistici e i residenti è molto importante affinchè questi possano trarne beneficio.” Questione particolarmente cruciale nella Città di Davide, che si trova a pochi passi dal Monte del Tempio e dalla moschea al-Aqsa, in piena Gerusalemme est.
Ma dalla quale la popolazione locale, gli abitanti palestinesi del villaggio di Silwan, risultano totalmente esclusi. “Camminando qui ci si rende immediatamente conto che si tratta di una cosa completamente estranea al villaggio di Silwan. Ma non lo è, è tantomeno dovrebbe essere gestita in questo modo: quella che i coloni chiamano Città di David è parte del villaggio di Silwan e anche la popolazione dovrebbe poterne trarre dei benefici. Noi ci opponiamo all’idea che dei coloni gestiscano un qualsiasi sito archeologico e crediamo che il Governo non debba permettere che queste cose accadano: il modo in cui viene percepita l’archeologia e vengono classificati gli scavi e i reperti, infatti, spinge e condiziona poi le decisioni di sovranità su determinati luoghi.”
Particolari non del tutto irrilevanti in una città dove ogni pietra evoca memorie e identità storiche e culturali. “Ovviamente i resti del periodo dell'antica sinagoga o del secondo tempio saranno di maggior interesse per gli ebrei, come allo stesso modo i resti bizantini lo saranno per i cristiani. Ma oggi non ci si può sentire legittimati a conquistare una terra basandosi su una cultura che è vissuta qui 2000 o 3000 anni fa.” Proprio questo é, invece, il problema a Silwan e in particolar modo nella Città di David, dove il ritrovamento di reperti archeologici sembrerebbero legittimare la presenza dei coloni.
“Nella Città di David, insegne e tour suggeriscono solo un'interpretazione biblica: la gente e i turisti vengono qui e pensano che ciò che vedono sia stato il palazzo di re David, nonostante non ci siano prove che lo confermino. L'archeologia e i libri di storia non concordano necessariamente, e come archeologo devo ammettere che non tutto ciò che viene ritrovato in un sito conferma le scritture bibliche. Non neghiamo l’importanza di libri storici come la Bibbia, ma l’archeologia, che dovrebbe aiutare la comprensione di culture passate, dovrebbe andare oltre. Non importa, infatti, che si creda nella Bibbia oppure no, l'archeologia non cambierà la propria opinione personale.”
In Israele i parchi nazionali in generale sono gestiti dalla Israel Nature and Parks Authority: la Città di David ne è l’unica eccezione. Ma cosa comporta il fatto che gli scavi vengano realizzati con i soldi dei coloni? Secondo Jonathan ciò rappresenterebbe un pericolo: “Sono loro che scelgono e decidono che scavi eseguire e cosa preservare per le generazioni future”, spiega. “Secondo la nostra opinione, quando si eseguono degli scavi in una zona di conflitto, si prende parte al conflitto stesso, a prescindere dalle proprie idee politiche. Se vengono eseguiti degli scavi con il denaro dei coloni, si contribuisce ad un enorme progetto di colonizzazione”.
A Silwan di coloni non ne vivono poi così tanti: circa 300, mentre i palestinesi residenti sono circa 40.000. Ma grazie al parco archeologico vengono attratti ogni anno milioni di turisti. Turisti che, secondo Emek Shaveh, verrebbero solo a conoscenza della versione israeliana della storia. “In aggiunta a tutto ciò, gestendo questo sito i coloni possono sostenere che non stanno semplicemente colonizzando come avviene in Cisgiordania o a Gerusalemme Est, bensì stanno preservando il sito. Eseguono scavi, investono denaro in una causa a sfondo culturale e in qualcosa che potrà apportare benefici in futuro.”
Michela Perathoner (inviata di Unimondo)
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