Jerusalem Day: celebrazioni in una capitale contesa

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“Nove israeliani su dieci che rivendicano una Gerusalemme unificata non sanno di cosa parlano. Il restante dieci per cento riconosce la realtà ma lotta per cambiarla a favore del popolo ebraico. E’ tempo che tutti verifichino la realtà e capiscano che una Gerusalemme unificata non esiste. La verità è che esistono due città parallele”. Quella che potrebbe sembrare la dichiarazione di un palestinese, è invece l’autorevole commento di Eyal Megged, scrittore israeliano, in occasione del “Jerusalem day” celebrato lo scorso 12 maggio nella capitale contesa.

Giornata durante la quale- in maniera tutt’altro che discreta- decine di migliaia di ebrei, vestiti di bianco e azzurro (colori della bandiera israeliana) e accompagnati da musiche e balli di strada, festeggiano la riunificazione di Gerusalemme. La “riunificazione di Gerusalemme est e ovest”, per essere precisi, avvenuta dopo la guerra dei sei giorni del 1967, conosciuta dai palestinesi come Naksa, il disastro.

E frasi simili, pronunciate in un contesto del genere, acquisiscono un significato decisamente più profondo, confermando quanto si presenta agli occhi dei migliaia di turisti che ogni giorno affollano la città santa per tre delle grandi religioni monoteistiche: Ebraismo, Islam e Cristianesimo: una città divisa. “Gerusalemme ovest è una città ebraica, mentre Gerusalemme est una città araba”, prosegue poi l’autore, precisando che se gli abitanti del lato “israeliano” della città visitassero la parte abitata dai musulmani, si renderebbero conto del fatto che il concetto di “Gerusalemme unificata” non ha alcun significato e che si tratta, invece, di una ridicola nozione che accompagna la tendenza a negare l’esistenza degli arabi in questa terra.

Secondo Megged, poi, le differenze non sarebbero solo di natura culturale, in quanto nei quartieri arabi della città la popolazione vivrebbe al di sotto della soglia di povertà e spesso in carenza di assistenza e servizi adeguati. Mancherebbero, infatti, scuole di qualità, sistemi idrici e di scarico, piani urbanistici, servizi sociali.

“Il Jerusalem day? Non c’è giornata che disprezzi maggiormente, nonostante io e i miei figli siamo nati e cresciuti qua e sia la città in assoluto più vicina al mio cuore”. Chi parla è Joharah Baker, portavoce dell’associazione palestinese Miftah, residente a Gerusalemme est. “Quella che il Governo e centinaia di migliaia di israeliani chiamano la 'riunificazione di Gerusalemme' per noi palestinesi non è altro che il giorno in cui gli ebrei hanno occupato la parte est della città, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e il Golan”. Celebrata, appunto, a suon di tamburi e canti nazionalistici che fuoriescono da altoparlanti trasportati su appositi camion. E che si conclude, a fine giornata, con un vero e proprio assalto alla porta di Damasco, ingresso al quartiere arabo della citta vecchia di Gerusalemme.

Decine di migliaia di israeliani, la maggior parte in età scolastica accompagnati dai propri insegnanti e sorvegliati a vista da centinaia di cecchini, militari e poliziotti, entrano correndo in quella parte della città abitata quasi esclusivamente da musulmani. “Di solito passo il Jerusalem day in casa per non dovere assistere a delle scene così raccapriccianti”, spiega Joharah Baker, “e non oso immaginare cosa possano provare tutti quegli arabi espulsi dalle proprie case negli anni passati: dalle loro case a Gerusalemme ovest successivamente al 1948, e da quelle di Gerusalemme Est dal 1967 in poi”.

La soluzione? Secondo Megged puo esistere solo tramite una maggiore conoscenza reciproca. “Non serve avere paura di una città araba e una israeliana che coestistano pacificamente. E non dovremmo temere che i 300.000 arabi che abitano qui si possano finalmente sentire a casa propria nella loro città, e non solo a parole”.

Michela Perathoner
(Gerusalemme - inviata da Unimondo)

 

La collaborazione tra Unimondo e Michela Perathoner continuerà fino ad agosto. Nel 2010 sono stati pubblicati i seguenti articoli:

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