Gerusalemme: "Veniamo quotidianamente puniti perchè siamo palestinesi"

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Negli ultimi mesi si era addirittura parlato del probabile inizio di un nuovo processo di pace, dell'avvio di altri negoziati: niente di tutto ciò, almeno per il momento. Tra restrizioni e violazioni dei diritti individuali imposte dalle autorità israeliane, scontri di strada violenti tra palestinesi e forze dell'ordine israeliane, razzi Qassam lanciati dalla Striscia di Gaza sulle vicine località ebraiche e dichiarazioni governative e non, la situazione tra Israele e Territori palestinesi non lascia di certo intravedere, a breve, una soluzione pacifica delle controversie.

A poco più di un anno dall'ultimo conflitto armato che, a partire da dicembre 2008, aveva travolto il territorio palestinese della Striscia di Gaza aggiungendo un ulteriore capitolo al sanguinoso e decennale conflitto israelo-palestinese, la tensione a Gerusalemme e in Cisgiordania è riesplosa nei giorni scorsi.

A scaldare la situazione e gli animi erano bastate, inizialmente, le recenti dichiarazioni del Governo di Benjamin Netanyahu di voler costruire 1600 nuovi alloggi a Gerusalemme Est, quartiere palestinese della città sacra per ebrei, musulmani e cristiani. Violenti scontri di strada a Gerusalemme, presso alcuni posti di blocco e in diverse località della Cisgiordania si sono scatenati, poi, in seguito alle misure restrittive adottate dalle forze dell'ordine israeliane nel corso degli ultimi giorni nei confronti della popolazione palestinese. In vista dell'inaugurazione di un'antica sinagoga nel quartiere ebraico della città vecchia, situata a pochi passi dalla moschea di Al-Aqsa, la polizia aveva, infatti, chiuso l'accesso alla Spianata delle Moschee impedendo ai fedeli musulmani di visitare quello che la loro religione considera essere il terzo luogo sacro.

Dure le dichiarazioni di attivisti e associazioni a tale proposito. “Da diversi giorni, ormai, la polizia israeliana impedisce ai palestinesi non residenti nella città vecchia di accedervi, costringendo i negozianti che non vi abitano a dimostrare tramite bollette e certificati la loro attività all'interno delle mura” - ha commentato il Jerusalem Center for Social and Economic Rights (JCSER), ong palestinese con sede a Gerusalemme. Le restrizioni e i limiti alla libertà di movimento dei commercianti e fedeli palestinesi imposti nel corso dell'ultima settimana avrebbero causato, oltre ad ostacolare le preghiere in moschea, anche gravi danni economici alla popolazione locale. JCSER denuncia le misure israeliane in violazione con la libertà di religione e di movimento, in contrasto con quanto enunciato all'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. “Gli abitanti dei territori occupati, inclusa Gerusalemme Est” - spiegano i portavoce dell'organizzazione che dal 1997 fornisce assistenza legale ai palestinesi oggetto di discriminazione da parte delle autorità israeliane, “sono considerati individui protetti secondo il diritto internazionale e Israele, in quanto occupante, deve rispettare i suoi obblighi internazionali, in particolar modo quelli derivanti dalla quarta Convenzione di Ginevra”.

Joharah Baker, collaboratrice dell'associazione Miftah (Palestinian Initiative for the Promotion of Global Dialogue and Democracy) fondata a Gerusalemme nel 1998, è stata coinvolta a livello personale nei recenti avvenimenti della città vecchia di Gerusalemme. “Come interpretare la minacciosa presenza della macchina militare israeliana degli scorsi giorni?”- si chiede. “Erano in 3000, tra poliziotti, guardie, militari e forze speciali, a controllare la città vecchia e soprattutto la zona circostante la moschea di Al-Aqsa”. Baker ha un permesso di residenza per Gerusalemme est, permesso che le garantisce, a differenza della maggior parte dei palestinesi, il diritto di ingresso nella città. “Qualche giorno prima degli scontri di martedì 16 presso la Spianata delle Moschee, immaginando cosa sarebbe successo, ho scelto di portare i miei figli a Ramallah”. “Vivere quotidianamente sotto l'occupazione israeliana e vederne le numerose ramificazioni li espone a situazioni e cose che nessun bambino dovrebbe mai vedere”.

Il marito, invece, rimasto nella loro abitazione nel quartiere musulmano della città vecchia, sarebbe stato arrestato senza motivo nel corso degli scontri e liberato solamente il giorno successivo. “Gli hanno proibito di rimettere piede nella città vecchia per i prossimi quindici giorni - spiega - impedendo a lui e ad altre persone di rientrare nelle proprie abitazioni”. Per Baker, che da anni si batte per la promozione dei principi democratici nella società palestinese, l'unica spiegazione per le continue oppressioni di cui si considera vittima è il fatto di vivere in un territorio occupato. “Veniamo quotidianamente puniti per una sola cosa: il fatto di essere palestinesi”.

Michela Perathoner
(Gerusalemme)

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