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Tel Aviv: proibito parlare di riconciliazione alla scuola accanto al distretto militare
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In Occidente verrebbe considerata una lodabile iniziativa pro-pace, nel democratico Stato di Israele, invece, è stata etichettata come una minaccia da proibire. Perlomeno nella scuola superiore Alon High School a Ramat Hasharon, città situata nel distretto di Tel Aviv a due passi dal nucleo dell’industria militare israeliana. La vicenda, non ancora giunta a una conclusione definitiva, ha suscitato più di qualche reazione sia all’interno dello stesso istituto che nell’ambito associazionistico progressista della società israeliana.
La questione? “Parents Circle”, un movimento di diverse centinaia di famiglie israeliane e palestinesi che dal 1995 presentano le proprie storie e i drammi legati alla perdita di familiari come conseguenza della violenza del conflitto nella regione, promuovono da anni attività informative all’interno delle scuole di entrambi i gruppi per sensibilizzare i giovani sulla questione e proporre riconciliazione in alternativa a odio e vendetta. Iniziativa solitamente ben accolta da studenti e genitori, ma non alla Alon High School, che ha interdetto l’intervento dell’associazione, voluto da un insegnante, in seguito a proteste da parte del Comitato genitori della classe coinvolta.
No al dialogo, quindi, ma perché? Secondo quanto riportato dagli studenti, il preside della scuola, Yehuda Yaakovson, vorrebbe aumentare il numero degli studenti che servono nelle IDF, le forze armate israeliane e avrebbe quindi ritenuto inopportuno l’intervento di "Parents Circle". Un obiettivo promosso, tra l’altro, anche dal Ministro dell’Educazione Gideon Sa’ar, intenzionato a vedere aumentare il numero di arruolati come conseguenza del sistema educativo israeliano.
Incrementare, insomma, le adesioni all’esercito in un contesto che, a partire dall’invasione del Libano da parte delle forze armate israeliane e successivamente in seguito all’occupazione e delle violazioni perpetrate nei territori palestinesi, ha visto aumentare il numero dei cosiddetti Refusnik e di coloro che cercano altre escamotage per eludere il servizio altrimenti obbligatorio. Inutile commentare che, in una tale ottica, iniziative come quelle promosse dal movimento dei “bereaved parents”- “genitori in lutto”, come si autodefiniscono i membri di Parents Circle- rappresenterebbe un ostacolo e che promuovere il dialogo tra israeliani e palestinesi potrebbe causare più di qualche reazione tra gli adolescenti.
Hani Fogel, portavoce del Comitato genitori che ha richiesto l’impedimento dell’incontro, ha dichiarato a tale proposito che “l’amministrazione scolastica incoraggia la discussione aperta sui valori, cercando di mantenere le distanze da una possibile politicizzazione della scuola”.
“Noi famiglie israeliane e palestinesi sappiamo come si trasforma la vita dopo aver perso figli, fratelli o familiari e sappiamo che nessun pezzo di terra, indipendentemente da quanto santo possa essere, potrà mai restituire il sorriso di un bambino che non rivedremo mai più”, spiega Robi Damelin, portavoce dell’organizzazione Parents Circle. “Vorrei che israeliani e palestinesi guardassero negli occhi dei propri figli e capissero che quando nascono non scelgono un lato con il quale schierarsi, che da piccoli non conoscono il significato di colori, bandiere e confini”.
Secondo gli autori del blog israeliano “The Only Democracy”, la maggior parte dei quali sono attivisti israeliani che si dichiarano contrari all’occupazione e alle politiche del loro Governo, la vicenda rappresenterebbe una vera e propria censura. “Se gli studenti, confrontandosi con le conseguenze del conflitto scoprono che ogni tanto c’é gente che muore, rinunciano ad arruolarsi?”, si chiedono Ofer Neiman e gli altri oppositori delle politiche del Governo israeliano. “Questi 17enni si ritrovano di fronte alle seguenti scelte: diventare cosiddetti Shministim, oppositori del servizio militare, trovare una maniera meno scandalosa per evitare di servire nell’esercito, o far parte obbligatoriamente di un esercito occupante.”
Sarebbero, poi, gli studenti stessi a ribellarsi alla decisione imposta loro da dirigente scolastico e genitori, in quanto si riterrebbero grandi abbastanza per affrontare diverse opinion e decidere da soli del proprio future e delle proprie scelte.
Michela Perathoner
(Gerusalemme - inviata di Unimondo)
La collaborazione tra Unimondo e Michela Perathoner continuerà fino ad agosto. Nel 2010 sono stati pubblicati i seguenti articoli:
- Jerusalem Day: celebrazioni in una capitale contesa
- Territori palestinesi: la protesta del villaggio di Bil’in
- Israele: continuano le violazioni dei diritti dei prigionieri palestinesi anche minori
- Israele: Non è un semplice muro, è una vera e propria divisione
- Gerusalemme: La maratona dei ragazzi nel campo profughi di Shu’fat
- Refusnik- “Obbedendo a Gaza non difendevamo la vita dei nostri cari”
- Hebron: un’ora da Gerusalemme, anni luce da Tel Aviv
- Sheikh Jarah, quartiere-simbolo della lotta contro gli espropri israeliani
- Gerusalemme: "Veniamo quotidianamente puniti perchè siamo palestinesi