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Israele: “Non è un semplice muro è una vera e propria divisione”
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“Di una cosa potete essere certi: sarà un giro turistico decisamente triste”- queste le parole con cui Eilan Katz, membro dell’associazione Ir Amim nonché ex dipendente della forza di polizia nazionale israeliana addetto all’ordine pubblico e alla sicurezza, ha introdotto il tour di Gerusalemme Est organizzato venerdì 23 aprile dalla ong israeliana.
Un tour, inutile dirlo, decisamente insolito e interessante che ha portato un autobus carico di israeliani, residenti a Gerusalemme e non, e alcuni turisti, giornalisti e studenti stranieri, lontano da Luoghi Santi, siti archeologici e dalle animate vie della Città Vecchia di Gerusalemme. Obiettivo delle visite organizzate quasi settimanalmente, infatti, è mostrare il muro costruito dagli israeliani intorno a Gerusalemme per ragioni di sicurezza e visitare gli insediamenti ebraici a Gerusalemme Est, la parte della città fino al 1967 abitata quasi esclusivamente da arabi.
La particolarità del tour in questione non sta tanto nel contenuto, quanto negli organizzatori: Ir Amim, infatti, è un’associazione israeliana che si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione a Gerusalemme Est, ritenendo, come specificato dalla portavoce Orly Noy, che qualsiasi futura soluzione politica del conflitto dovrà necessariamente includere anche una soluzione riguardante lo status di Gerusalemme.
“Non siamo un’associazione a difesa dei diritti umani: lavoriamo secondo un punto di vista strettamente israeliano, in quanto riteniamo che risolvere la questione, soprattutto a Gerusalemme, sia nell’interesse di Israele”, precisa Noy. Secondo la portavoce non ci sarebbe altra possibilità che trasformare Gerusalemme in una capitale per entrambi gli Stati. “Per questo motivo è necessario mantenere a Gerusalemme condizioni che permettano una futura divisione.” Evitare, insomma, le espulsioni di famiglie palestinesi, l’insediamento di ebrei e la distruzione di case.
Prima tappa del tour: Gilo, uno degli insediamenti costruiti dopo la guerra dei sei giorni oltre la cosiddetta “linea verde” tracciata nel 1949. Uno di quegli insediamenti che la comunità internazionale chiama “colonia” e definito, invece, “dintorni di Gerusalemme” dagli israeliani- finezze linguistiche non di poco conto, nei territori occupati.
“Quella che noi chiamiamo la guerra di indipendenza del 1948, per i nostri vicini è la Nakba, il disastro”, commenta a tale proposito EIlan Katz, con un tono tra il combattuto e il dispiaciuto, tipico di molti israeliani che affrontano gli argomenti in questione. “Dagli anni 70 in poi, Israele ha iniziato a costruire case in zone di Gerusalemme Est non abitate”, prosegue, scatenando più di qualche reazione tra i partecipanti. “Diciamo: abitate da poche centinaia di famiglie”, si corregge subito, “alle quali sono stati offerti molti soldi per lasciare quei determinati territori”.
Dalle parole e spiegazioni di Katz emerge un mix di consapevolezza delle violazioni perpetrate nei confronti dei palestinesi, di paura di possibili nuovi attacchi terroristici, di orgoglio nazionale. Alterna frasi come “Pagano le tasse come noi, dovrebbero avere gli stessi diritti” a commenti sulle condizioni igieniche nei quartieri arabi: “Sembra il terzo mondo, e ci troviamo nella capitale di Israele”. Chiede, poi, di non essere frainteso: “Sono israeliano e fiero di esserlo. Ritengo che il muro costruito intorno a Gerusalemme sia legittimo, in quanto frutto della decisione di un Governo eletto democraticamente e che sia necessario come misura di sicurezza. Ma non posso non definirlo un’emergenza umanitaria: non è un semplice muro, è una vera e propria divisione che comporta conseguenze pesanti per moltissimi abitanti di questa città e non solo”.
Le parole colpiscono anche chi, tra i partecipanti, ha in tasca un passaporto israeliano. “Sono un’israeliana di terza generazione”, spiega Hanna Greenberg, cresciuta a Gerusalemme e oggi residente a Tel Aviv, “e ricordo che da piccola andavo a piedi fino a Betlemme: incredibile vedere quanto tutto sia cambiato in così pochi anni.”
Michela Perathoner (Gerusalemme - inviata da Unimondo)
La collaborazione tra Unimondo e Michela Perathoner continuerà fino ad agosto. Nel 2010 sono stati pubblicati i seguenti articoli:
- Refusnik- “Obbedendo a Gaza non difendevamo la vita dei nostri cari”
- Hebron: un’ora da Gerusalemme, anni luce da Tel Aviv
- Sheikh Jarah, quartiere-simbolo della lotta contro gli espropri israeliani
- Gerusalemme: "Veniamo quotidianamente puniti perchè siamo palestinesi"
- Gerusalemme: La maratona dei ragazzi nel campo profughi di Shu’fat