2014: Terzo settore = Terzo mondo. E domani?

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Impazza la nuova tangentopoli, tra vecchie facce e vecchissimi sistemi di corruzione, mentre gli italiani continuano a perdere il lavoro –siamo ormai arrivati a oltresei milioni di disoccupati- e le famose riforme – una al mese - aveva promesso Renzi,  sembrano sempre più il milione di posti di lavoro che  un altro ex Premier sbandierava nel 1994. In tutto questo anche l’ambito del volontariato, del non profit e delle cooperative sociali continua ad andare in sofferenza.

Ognuno di noi conosce almeno una persona che lavora nel cosiddetto terzo settore, definizione ampia di una moltitudine di professionalità - spesso eccellenti- ma dai confini non ben chiariti e nella quale rischiano troppo spesso di celarsi anche realtà non chiare.

Specifichiamo che, come più volte scritto anche su Unimondo, il terzo settore italiano, perennemente bistrattato da tagli e ridimensionamenti, rimane tuttavia una dei motori che hanno permesso alla nostra nazione di non finire al collasso totale.

Consapevoli di questo stato di cose, cinque imprese sociali romane di riconosciuto valore, capaci negli anni di costruire realtà imprenditoriali di alto livello producendo occupazione, benessere  economico-e  modelli alternativo  per rispondere alle più svariate esigenze delle persone in difficoltà, hanno pensato di unirsi e fornire il loro contributo con un documento alle Linee guida per una riforma del terzo settore presentate a a metà maggio dal governo.

Come già aveva fatto il portavoce del Forum  del Terzo Settore Pietro Barbieri le big five capitoline hanno affermato di volersi fidare del nuovo corso e hanno auspicato che si tratti davvero della “volta buona”; ma hanno voluto anche fare di più entrando nel dettaglio con proposte precise e circostanziate.

Innanzitutto, risulta necessario “combattere le finte associazioni”  impedendo la costituzione di realtà fittizie aventi l’unico scopo di incassare quote e contributi ignorando gli obblighi di legge  e continuano occorre introdurre nelle associazioni imprese sociali forme di low profit, ovvero di remunerazione per chi, in qualità di associato, investa fondi per potenziarne il ruolo e lanciarne lo sviluppo”.

Nel documento si trova quindi un passaggio chiave dedicato alla questione lavoro, dato che  le Linee guida del governo non si erano sufficientemente soffermate su tale punto ritenuto invece cruciale dalle realtà firmatarie.

“I nostri organismi creano varie forme di lavoro retribuito, dal lavoratore dipendente a quello occasionale, e  la legislazione del lavoro attuale crea spesso conflittualità tra ente e lavoratore, con un aumento del contenzioso e delle spese legali”.

Occorre dunque che “si chiariscano alcune posizioni introducendo una forma di contratto nazionale, declinato a livello locale, più adatto alle forme associative”.

Proseguendo nella lettura del documento è possibile leggere come sia ormai non più procrastinabile “stabilire i limiti delle collaborazioni, sia nella forma sia nella loro durata e stabilire in maniera chiara cosa si fa in qualità di lavoratore dipendente e cosa in qualità di collaboratore.”

 Inoltre i collaboratori devono impegnarsi a non esercitare forme di concorrenza sleale e si auspica la costituzione di un Fondo pensionistico appropriato per tutti coloro i quali operano a vari livelli nel Terzo settore”.

Per quanto attiene al discorso economico le associazioni romane evidenziano: “attualmente le forme di credito e di sostegno sono dettate da regole adatte alle società di capitali, aggravate da continue vessazioni come fidejussioni e garanzie che i soci devono sottoscrivere”. È necessario pertanto “ribaltare il concetto, per cui non è il capitale o il patrimonio economico a stabilire la garanzia ma il capitale umano fatto dai dirigenti, dai dipendenti e dagli associati. Si propone dunque che il sostegno economico e l’accesso al credito siano rapportati alla quantità di lavoratori e di persone attive nell’ente, oltre che ai servizi esercitati”,

Nelle parti finali del contributo si ravvisa il bisogno di “semplificare e realizzare una normativa sulle concessioni di immobili di proprietà demaniali o comunali per offrire la possibilità a tutte le realtà “non profit” esistenti e future, di poter crescere e sviluppare il proprio avvenire con la riqualifica e la ristrutturazione di aree in degrado”.

Un appunto è dedicato al ruolo dell’Authority del terzo settore, definita “necessaria soprattutto per vigilare sulle effettive funzioni degli Enti non profit, sull’applicazione e sul rispetto delle regole onde impedire elusioni fiscali” cui sarebbe anche opportuno richiedere di “vigilare sulle forme di lavoro all’interno degli enti non profit al fine di impedire abusi da parte dell’ente oppure pretese anacronistiche da parte dei collaboratori”. Dulcis in fundo si definisce “auspicabile” la creazione di un elenco ufficiale delle onlus, imprese sociali, coop sociali e associazioni.

Insomma, il terzo settore romano e nazionale si sta mettendo, con competenza, in gioco e forse da oggi gli addetti stampa del governo primo di digitare freneticamente tweet entusiastici riguardanti fantasmagoriche riforme penseranno una volta in più che poi di questi 140 caratteri bisognerà rendere conto a migliaia di associazioni e a quasi un milione di lavoratori e tre milioni di volontari nel nostro paese.

Staremo a vedere se si tratterà davvero della “volta buona”

Fabio Pizzi

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