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Senegal, storie di donne coraggiose 3: Mariama
Giustizia e criminalità
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Foto: L. Michelini ®
Continuiamo il nostro viaggio attraverso le vicende di donne coraggiose senegalesi. Dopo gli incontri con Awa e Fatu e quello con Fati Ba, ecco Mariama. In una delle tante pause che passiamo insieme, mostro a Mariama un tapalapa (un tipo di pane senegalese) che ho comprato in una boutique nelle vicinanze dell’ufficio dove lavoriamo, a Dakar. Ridendo di gusto, mi sento rispondere che qua viene chiamato beffardamente tapalapa-Macky-Sall (ndr: Macky Sall è il Presidente della Repubblica del Senegal) “Non è buono! Fa ingrassare e basta! Quello originale lo trovi solo a Casamance.”
Lei è Mariama, non ha neanche venticinque anni, e da quando ne aveva quattordici fa le pulizie negli uffici del quartiere Les Almadies.
“Mi sveglio alle 5.00 tutti i giorni ed esco di casa alle 6.00, quando è ancora buio. Mia figlia si alza con me, ormai ci ha fatto l’abitudine”, mi racconta mentre condividiamo una tazza di caffè bollente. “Dopo essermi svegliata, devo darle da mangiare, la allatto ancora. La vesto e poi esco di casa.” Mariama abita nella profonda banlieue della capitale senegalese, Thiaroye, a circa venti chilometri dal centro. “Per arrivare al lavoro devo cambiare tre autobus diversi e, con il traffico di Dakar, perdo tantissimo tempo. Ogni giorno ci metto circa tre ore per arrivare al lavoro. Tre ore ogni mattina, tre ore ogni sera.”
Quando arriva al lavoro, mangia frettolosamente un mburu chocolat, una baguette ripiena di Délia, la cioccolata mista ad arachidi che si vende in Senegal, prima di iniziare le lunghe pulizie: gli uffici sono sempre pieni di polvere, soprattutto in questo primo periodo dell’anno, in cui il vento soffia forte da nord e porta con sé la sabbia della Mauritania. “Lavo e tolgo polvere e sabbia dalla mattina alla sera, ma il giorno dopo è come se non avessi fatto nulla. Una volta finite le pulizie, lavati i piatti dei dipendenti, riprendo l’autobus per tornare a casa, ma la sera il traffico è ancora più pesante. A volte rincaso che sono già le nove passate.”
Durante la settimana, la piccola figlia di Mariama viene accudita dalla suocera e dalle nuore. “Mi manca, vorrei passare più tempo con lei, ma d’altronde se voglio continuare a lavorare devo scendere a compromessi.” In Senegal le donne che lavorano e allo stesso tempo devono mantenere una famiglia non sono molte, non è una cosa ancora molto accettata dalla società (il tasso di partecipazione alla popolazione attiva tra le donne è pari al 35%). Per loro la vita è dura, perché la cultura di questo Paese è ancora molto maschilista e chi si occupa di faccende domestiche e bambini sono quasi sempre le donne. “Nel fine settimana devo preparare da mangiare per tutta la famiglia, siamo circa dieci persone, vado al mercato e lavo i vestiti. Passo così i miei fine settimana. E lo devo fare altrimenti ricevo le critiche di tutti.”
“Sono cresciuta a Pikine”, uno dei quartieri più periferici della capitale senegalese, tra il suono di sabar e lunghi pomeriggi passati in strada a giocare. Da quando mi sono sposata, vivo con la famiglia di mio marito.” Questa è l’usanza. La sposa si trasferisce presso l’abitazione dello sposo dove dovrà contribuire, a volte sobbarcandosi la maggior parte dei lavori, alle faccende domestiche della nuova casa.
“Mio marito appena dopo le nozze si è trasferito a Parigi, dove ha trovato un impiego in fabbrica. Ancora oggi non sono accettata dalla sua famiglia. Loro vogliono che io stia a casa a preparare da mangiare per tutti, ma io mi rifiuto. Voglio avere il mio stipendio per non chiedere aiuto a nessuno. Quando ho bisogno di soldi voglio poter usare i miei. Questa è la vera libertà. Ma mia suocera tutto questo non lo accetta e sta cercando di mettere zizzania tra di noi. Il Senegal è conosciuto per essere il Paese della teranga (ospitalità), ma c’è un male che ci caratterizza, ed è la gelosia. Spesso il successo altrui non è gradito e la famiglia acquisita, se non accetta le tue scelte, arriva ad andare dai marabutti, una sorta di ‘stregoni’ locali, con lo scopo di lanciarti il malocchio per rovinarti la vita.”
Ma oltre a questo c’è un altro pensiero che l’attanaglia. Mariama, per ora, è l’unica moglie di suo marito ma non sa se lui, in futuro, deciderà di sposare altre donne (in Senegal il 35,2% dei matrimoni è di tipo poligamo, cifra che però non include i numerosi matrimoni non registrati ufficialmente). “La notte ho tanti pensieri, spesso non riesco a dormire. Vorrei che mio marito mi portasse in Francia. Là potremmo stare insieme, a casa nostra, mangiare e scherzare seduti attorno alla stessa tavola.”
Mariama è originaria della Casamance, sud del Senegal. “Ho lasciato la mia regione che avevo solo tre anni. Quando ero piccola mio papà ha deciso che mi avrebbe allevata mia zia di Dakar e così ho abbandonato il villaggio. Ho rivisto mia mamma solo nel 2006, avevo dieci anni. Dalla zia non è andata bene purtroppo, mi ha fatto lavorare e non sono mai andata a scuola. Se avessi potuto, avrei voluto studiare scienze; sono sicura che mia figlia avrà questa possibilità.”
Tempo fa aveva anche considerato l’idea di lasciare il Paese, poco prima di sposarsi. “Un’amica mi aveva proposto di andare con lei in Marocco. Ma io proprio non ci penso a partire come clandestina. In quel posto le donne vengono stuprate e maltrattate, non voglio fare quella fine. Adesso la mia amica si trova in una città costiera marocchina, sta aspettando il momento buono per attraversare il Mediterraneo.”
Mariama ha una grinta esemplare “Non importa se gli altri non mi rispettano, l’importante è che sia io a rispettare me stessa e, infatti, è quello che faccio.” Con i suoi abiti sgualciti e un turbante blu per proteggere i capelli, la sua eleganza innata distanzia anni luce quella delle signore più curate dell’ufficio. Il pittore olandese Johannes van der Meer le avrebbe dedicato sicuramente un bellissimo olio su tela.
Il 6 febbraio, giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, le chiedo se a suo avviso questa terribile usanza, ancora molto diffusa nell’entroterra del Senegal, sia praticata anche nella capitale (il livello nazionale di mutilazioni genitali femminili nel 2019 è pari al 26%, ma in alcune zone rurali del Paese arriva anche all’80%). “Certo, moltissime donne vengono tagliate, soprattutto da dove vengo io, ma di nascosto. Perché, in Europa non si fa?”, mi chiede insicura. Dalla sua risposta deduco che anche lei molto probabilmente è stata mutilata e nello spiegarle le ragioni di tale divieto, il suo volto si fa serio e con le mie parole ho l’impressione di causarle una seconda perdita.
Questa ragazza, che non ha mai frequentato un giorno di scuola, ha le idee chiare e una mente aperta sul mondo. Nei sei mesi che ho trascorso in Senegal, è una delle poche persone con cui ho potuto parlare di tutto, senza affettazione o pudore. Da lei ho imparato a preparare la tisana di nebeday, il mburu sardinelle, a ballare la mbalax, ma soprattutto ho conosciuto quanto coraggio si possa trovare in una donna senegalese.
Lucia Michelini

Sono Lucia Michelini, ecologa, residente fra l'Italia e il Senegal. Mi occupo soprattutto di cambiamenti climatici, agricoltura rigenerativa e diritti umani. Sono convinta che la via per un mondo più giusto e sano non possa che passare attraverso la tutela del nostro ambiente e la promozione della cultura. Per questo cerco di documentarmi e documentare, condividendo quanto vedo e imparo con penna e macchina fotografica. Ah sì, non mangio animali da tredici anni e questo mi ha permesso di attenuare molto il mio impatto ambientale e di risparmiare parecchie vite.