Italia: quella giustizia-lumaca che nega i diritti

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Siamo tra i paesi fondatori dell’Unione Europea ma ci troviamo ad essere il solito fanalino di coda per le questioni più importanti. La giustizia è una di queste, uno dei capisaldi delle promesse elettorali di ogni governo che si è succeduto, eppure ogni volta siamo punto e a capo, l’eterno ritorno dell’identico, in un battibecco infinito tra gli interessi in campo – dei giudici, dei magistrati, degli avvocati, dei politici-avvocati, dei magistrati-politici – in cui a farne le spese sono come sempre i cittadini. Perchè se a prima vista ciò di cui si sta discutendo in questi giorni nelle aule parlamentari – la riforma della giustizia – appare secondario rispetto ai problemi economici e sociali del paese, in realtà un sistema di giustizia efficiente ha ripercussioni importanti sulla vita del singolo e della collettività. Sono la garanzia dei diritti promulgati dalla stessa Costituzione che, come ha affermato l’emerito di Diritto Civile Stefano Rodotà durante la presentazione del primo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia al Salone dell’Editoria Sociale di Roma, “non possono più essere relegati ai margini dalla politica né considerati un lusso, perché in questo modo viene messa in discussione la stessa democrazia”.

Diritti che vengono meno a causa di vuoti normativi o lungaggini burocratiche evitabili: pensiamo ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, o ai migranti, o ancora alla questione del “fine vita”, bloccati per questioni puramente ideologiche e demagogiche, ma lo stesso vale per temi più pratici e quotidiani come i divorzi e i meccanismi di affido dei minori, l’equiparazione di titoli e diplomi all’estero e così via. E qui il sogno di un Europa dove la circolazione delle persone e delle merci sia adeguata a una pari diffusione e unificazione dei diritti e dei meccanismi che li regolano sembra spesso sfumare miseramente.

La Giornata europea della Giustizia civile del 25 ottobre, istituita nel 2003 su iniziativa del Consiglio d’Europa e della Commissione Europea, vorrebbe essere proprio un’occasione per ribadire il bisogno di un apparato più snello ed efficace. Il suo scopo è portare queste discussioni fuori dalle aule, creando uno spazio di apertura e condivisione, di confronto, informazione e riflessione tra gli operatori della giustizia civile e i cittadini. I quali, associando il concetto di “giustizia” e l’immagine del tribunale soprattutto al diritto penale, spesso dimenticano che in realtà si tratta, prima di tutto, di un servizio a loro disposizione, anche per regolare le controversie private e far valere i loro diritti. Ma è veramente così?

In realtà, a mancarci sono proprio le basi. “Accesso alla giustizia e diritto a un processo equo non sono propriamente garantiti se un caso non può essere definito in un tempo ragionevole da una corte che ha fondi e risorse adeguate a propria disposizione al fine di operare in modo efficiente” scriveva già nel 2001 il Consiglio Consultivo dei Giudici Europei. E proprio la lentezza dei processi in campo civile è motivo di frequenti bacchettate da parte dell’Ue al nostro paese, oltre che un vero e proprio sfregio dell’articolo 111 della Costituzione.

Secondo il nuovo rapporto del Cepej (la Commissione europea per l’efficienza della giustizia) uscito di recente, pur essendo l’Italia tra i paesi che spendono di più per la giustizia, il nostro è uno dei sistemi che funzionano peggio. Da noi, infatti, la durata media delle cause civili di primo grado è di 590 giorni (siamo terzi dietro a Malta e Bosnia Erzegovina): 707 sono ad esempio i giorni necessari per una pronuncia di divorzio, che diventano 486 in secondo grado. Nel 2012 (anno a cui risalgono i dati usati nell’analisi) le cause civili pendenti sono state 4 milioni 650 mila, portandoci al secondo posto dietro la Germania, e soprattutto i processi aperti erano 3,3 milioni: un record negativo assoluto, dato che la media europea è di 311mila. Il maggior numero di cause civili è stato aperto per insolvenza (86 mila processi pendenti alla fine dell’anno, con una durata media totale di 2.566 giorni, altro incredibile primato negativo, considerato che la media europea è di 537 giorni), e poi per le cause di divorzio (35 mila processi). Infine, c’è il capitolo spesa che, in controtendenza con gli altri paesi europei, da noi continua a crescere: 8 miliardi in tutto, di cui gran parte (77,7 %) solo per coprire gli stipendi. “In Italia l’aumento registrato dei budget nei decenni al comparto Giustizia è causato dall’aumento della spesa per i giudici” ammonisce il Cepej.

Il voto di fiducia in Senato al decreto legge di riforma del processo civile, avvenuto proprio in questi giorni, pur avendo introdotto una serie di misure per snellire il sistema ha lasciato da parte questioni essenziali come il divorzio breve o disposizioni che disincentivino le cause temerarie anche in campo civile. In attesa di approdare alla Camera, le misure proposte dal dl sono comunque importanti: l’istituzione dell’arbitrato per i procedimenti pendenti in tribunale e Corte d’Appello, la negoziazione assistita per le controversie estesa anche a separazioni e divorzi consensuali (con il pm del Tribunale competente chiamato ad avallare l’accordo con o senza figli minori o con disabilità), la tutela del credito, la riduzione delle ferie dei magistrati (tra i punti più contestati). Certo, la loro reale utilità ed efficienza è ancora tutta da vedere, e la strada è ancora lunga. “La giustizia civile italiana è in una posizione di ritardo strutturale – ha detto il curatore del rapporto Cepej, Jean-Paul Jean – con uno stock tale che non potrà mai essere risolto senza una radicale riforma”.

Anna Toro

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