Egitto: Mubarak non si dimette, la piazza si appella all’esercito

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Il faraone-presidente Hosni Mubarak alla fine non si è dimesso. Ieri sera ha annunciato che cederà i poteri al vice presidente Omar Suleiman, ma che sarà lui a guidare la transizione. Le scarpe al cielo sono il segno del disprezzo per le parole del Raìs. Le urla, invece, la rabbia per il “colpo” che non c’è stato. Piazza Tharir dovrà attendere ancora prima di poter vedere quello che chiamano “il nuovo Egitto”.

Il diciassettesimo giorno ha visto in piazza altre categorie di lavoratori: dai trasporti e le telecomunicazioni, fino a quelli dell’industria petrolifera. Nel primo pomeriggio, quando l’esercito annuncia ai manifestanti che per la serata “attende ordini che piaceranno al popolo”, i sorrisi si allargano. Le notizie che arrivano sono tante e contrastanti.

Intorno alle 19, la prima certezza, è il comunicato dell’Esercito “numero 1”, come viene intitolato seguendo il lessico delle Forze Armate. L’annuncio era quasi una certezza per i manifestanti: “il Consiglio Supremo delle Forze Armate sta esaminando le misure necessarie per proteggere il Paese”. Nella piazza si diffonde la certezza che Mubarak annuncerà le dimissioni in serata.

Molta gente comincia ad affluire verso Tharir. Nessuno vuole perdere il grande giorno. Le bandiere egiziane con la scritta “25 gennaio” sventolano ovunque. Fuori, nelle vie di accesso che portano al cuore pulsante della protesta contro il regime, si formano lunghe code. I volontari controllano documenti e perquisiscono uno ad uno chi entra. Più si avvicinano le 22, più i manifestanti si scaldano.

Il grande lenzuolo bianco legato tra due alberi sul lato Ovest della piazza è pronto. Dal palco i giovani del movimento scaldano la folla con canzoni patriottiche e i soliti slogan contro “il tiranno”. Dalla mattina di venerdì hanno allestito anche un piccolo palco tra il maxi schermo e la piazza: è destinato alla stampa. Il discorso del Raìs, atteso per le 22, arriva con oltre 45 minuti di ritardo. La piazza è un misto tra ansia e gioia.

Gli occhi sono puntati in alto. Il silenzio è irreale. L’unica voce che si sente è quella che esce dagli altoparlanti collegati allo schermo. Ma è facile fin da subito capire che le aspettative saranno tradite. Dopo soli 10 minuti quando, il Raìs annuncia che rimarrà al potere fino alle elezioni di settembre, la piazza esplode in un urlo di rabbia. Prima le dita puntate verso il basso, poi le scarpe al cielo. La delusione è tanta. Alle 23.20, quando il discorso del presidente finisce, nessuno vuole credere a quello che ha sentito.

I manifestanti si appellano all’esercito. Chiedono a loro di sbrigare la matassa. In un migliaio si dirigono alla sede della televisione di stato. I militari, nel pomeriggio, hanno provveduto a sgomberare i dipendenti. L’area sembra una base militare. Filo spinato, blindati, carro armati e soldati alle finestre con mitragliatrici. Ma per ora nessuna violenza. Perché a questo punto, per una svolta, nel bene o nel male, serve il loro appoggio.

Andrea Bernardi
(Inviato di Unimondo a Il Cairo)

 

I precedenti articoli sulle manifestazioni nel Nord Africa (dal più recente)

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