Egitto: “Basta con i militari, Mubarak deve andarsene”

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Il Cairo - È notte fonda e Piazza Tharir prova a riposare. Da un altoparlante qualcuno continua a scandire cori contro “il dittatore”. La protesta va avanti. Perché qui, degli incontri politici che si susseguono in questi giorni nei palazzi del potere del Cairo, non importa a nessuno. “Mubarak deve andarsene”: è questa la prima condizione della piazza. Poi, dopo, vengono le riforme. “Il presidente è un militare, il vicepresidente è un militare e il primo ministro è un militare – mi dice un ragazzo – e questo lo chiamano cambiamento. Non c’è via di uscita da questa situazione, se non le dimissioni di Mubarak”.

“La domenica dei martiri”, come è stata soprannominata la tredicesima giornata di protesta, ha portato in piazza un altro milione di persone. Le gigantografie con la faccia dei giovani morti sono appese ovunque. Ilham sventola una pagina di giornale. Quel ragazzo con la faccia sorridente è suo fratello. “Shahhiid”, martire, urla con le lacrime agli occhi seduta su un marciapiede della piazza. È uno dei morti di questa rivoluzione. Lo hanno ucciso mercoledì, durante lo scontro corpo a corpo tra i manifestanti che difendevano la piazza e i seguaci del presidente. La madre, poco più in la, è sotto una delle rudimentali tende di nylon che si ripara dalla pioggia. Davanti ha una coda di donne che le portano condoglianze.

Un’altra giornata di passione e speranza. Da due giorni, sul lato Est, i carro armati sono stati circondati dalla folla per impedire che vengano spostati. O nella peggiore, se ne vadano. La gente, a turno, passa ore seduta sui grandi cingoli di ferro dei mezzi militari. I soldati giurano che verranno spostati soltanto per permettere la pulizia di quello che c’è sotto. Ma la folla non si fida e rimane lì. Cento metri più avanti, a ridosso del ponte 6 Ottobre, gli irriducibili della prima linea stanno seduti sulle barricate in allerta di nuovi attacchi. Ogni tanto arrivano delle urla. La gente corre, prende sassi per terra. Ma sono falsi allarmi. La tensione resta alta. Basta che qualcuno si avvicini alla piazza dalla parte sbagliata per mettere in moto le difese.

All’esterno di Tharir Square, invece, si cerca di tornare alla normalità. Le strade si rianimano di auto e la polizia del traffico ha ripreso a fare il proprio lavoro. Davanti alle banche, chiuse da dieci giorni, si radunano centinaia di persone per poter prelevare denaro. I negozi hanno riaperto i battenti, così come pasticcerie e catene di fast food. I supporter di Mubarak sembrano spariti dalla circolazione e il grande ponte dei Leoni, teatro di violente sassaiole nei giorni scorsi, è nuovamente la principale strada di accesso alla roccaforte dei manifestanti. L’esercito ha steso metri di filo spinato e per entrare, uno alla volta, si passano ore in coda. Uomini da una parte, donne dall’altra. I volontari della piazza controllano documenti e perquisiscono tutti. “Scusa, scusa, ma sai la situazione. È per la sicurezza di tutti”, ripetono agli stranieri, la maggior parte giornalisti, che entrano in Tharir square.

Ma la piazza simbolo della protesta è anche altro. In mezzo ai cori contro Mubarak due giovani, un ragazzo e una ragazza, festeggiano il fidanzamento. Fanno parte del movimento di contestazione giovanile, non hanno perso un solo giorno di protesta, sempre insieme, fianco a fianco. Come prevede il rito islamico, l’Imam, davanti ai futuri sposi, legge alcuni versetti del corano. Ma oggi, del tutto in via eccezionale, a presenziare non ci sono soltanto gli amici più stretti, bensì un milione di persone. Da uno dei balconi dell’hotel dove alloggiano i media la Tv Al-Jazeera trasmette in diretta l’evento. I giovani si scambiano gli anelli. La folla regala un mazzo di fiori. C’è un lungo applauso. Lo sposo viene lanciato in aria diverse volte. Poi, si torna a gridare. “Yaskot Yaskot Hosni Mubarak”. Vattene, Vattene Hosni Mubarak.

Andrea Bernardi
(inviato di Unimondo a Il Cairo)

 

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