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Egitto: continuano le proteste, trema il Medio Oriente
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Domenica 30 gennaio - ore 19
Non si fermano le proteste al Cairo. Ma dopo una giornata di sangue (si veda articolo sottoriportato -ndr) torna la calma e le manifestazioni pacifiche contro il governo continuano ad invadere la grande Piazza Tahrir. All’alba, quando le prime luci del sole illuminano la città, i residenti dell’area di Falaky Square contano i danni. Le auto date alle fiamme sono ancora in mezzo alle strette vie. Alcuni anziani rimuovono una barricata incenerita spostano i grandi sassi che i manifestanti utilizzavano per ripararsi dal fuoco della Polizia.
La Polizia, che venerdì sera era arretrata in seconda linea, lasciando la prima all’esercito, oggi non si vede. Il ministero dell’Interno, che ieri i manifestanti anti-governativi hanno provato ad assaltare, è ben protetto dai carro armati dell’esercito. Youssef, jeans chiari e maglietta Armani, guarda la sua macchina con le mani sui fianchi e scuote leggermente la testa. È andata incenerita. “Alla protesta si sono uniti tutti i criminali” - mi dice riferito a quelli che hanno bruciato la sua auto - “non hanno niente a che fare con le manifestazioni, non sanno neppure chi sia Mubarak. Vogliono soltanto distruggere e saccheggiare tutto quello che trovano. Cosa c’entrava la mia auto?”, si domanda, senza trovare una risposta.
La Piazza è calda. Difende l’operato dell’esercito che si è schierato con i mezzi blindati senza mai sparare un colpo e accusa la Polizia di versare sangue innocente in nome di quello che oramai definiscono un “dittatore”. Piazza Tahrir comincia a riempirsi intorno alle 14. Prima, soltanto piccoli gruppi di persone che hanno passato la notte sdraiati nei giardinetti. “Non torno a casa da venerdì – racconta un giovane con una maglietta blu e la scritta “Get out Mubarak” – e non me ne andrò fino alla fine. Finché questo presidente che ci ha portato alla rovina non se ne sarà andato da questo Paese. L’Egitto è degli egiziani, non di Mubarak”.
“Dove è il Raìs? Dove è il Raìs?”, urlano alle videocamere i giovani cairoti arrabbiati. “Perché – dicono – non si vede più in televisione? Forse si sta preparando per andare a vivere con i suoi amici americani?”. “Che vada con i suoi amici israeliani”, dice un uomo sulla sessantina che porta un cartello con la foto del presidente e la Stella di David disegnata sulla fronte.
La calma della giornata, le grida ed i canti sono interrotti dalla provocazione del governo. Due caccia bombardieri iniziano a sorvolare a bassa quota Piazza Tahrir. I manifestanti fischiano, urlano “Allah Aqbar”, “Allah è il grande”. “Vogliono impaurirci, spaventarci – dice una ragazza – e fanno di tutto. Guarda questi aerei che da un’ora girano qui sopra. Sono tutti al servizio di Mubarak”. Il rumore è assordante e alcune donne distribuiscono cotone da utilizzare come tappi per le orecchie.
Intorno alle 19, mentre la protesta continua senza incidenti, nella piazza arriva l’ex direttore dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) e Premio Nobel per la Pace nel 2005, Mohammed Mustafa al Baradei, leader di uno dei partiti all’opposizione. La piazza si scalda, al Baradei è acclamato dalla folla come un vero leader.
Fuori dal centro la situazione è tranquilla ma la gente ha paura. La Polizia non si vede più ed i cittadini temono che i criminali, che da qualche giorno sono tornati a circolare liberamente, saccheggino le loro proprietà. I quartieri nella parte ovest della capitale, al di là del grande fiume Nilo, sono sorvegliati da uomini armati di bastoni e macete. Alcuni impugnano fucili. Tranne il centro, dove i manifestanti vanno avanti a protestare fino a notte fonda, il resto del Cairo è una città fantasma. Il coprifuoco è scattato e la gente ha paura.
Andrea Bernardi
(Inviato di Unimondo a Il Cairo)
Sabato 29 gennaio - ore 21
Al Cairo, la quinta giornata di proteste si chiude con almeno 3 morti e decine di feriti. I manifestanti anti-governativi, che protestano contro il presidente Hosni Mubarak, asserragliati nel centro della capitale vogliono arrivare fino in fondo. Non basta l’azzeramento dell’esecutivo indetto dal Raìs. Chiedono di più. “Mubarak deve andarsene – dice Hussein, un ragazzo di 19 anni che da 4 giorni non torna a casa – deve andarsene da questo Paese. L’Egitto è degli egiziani e non di Mubarak e dei suoi amici americani”.
La piazza è infiammata e non accenna a spegnersi. L’esercito, intervenuto su richiesta dei manifestanti che accusano la Polizia di aver usato la mano pesante, sorveglia dai blindati e dai carro armati, schierati a difesa dei luoghi sensibili, la situazione. Niente armi in mano. La piazza ha rispetto delle Forze Armate. Foto, regali. È così che vengono accolti quando con i loro mezzi sfilano per le strade del centro.
Cartelli anti-Mubarak e bandiere egiziane sventolano in giro per le strade, ma soprattutto in quello che è diventato il quartier generale della protesta: Piazza Tahrir. La più grande piazza della capitale è un fiume di gente. Il grande palazzo del Partito Nazionale brucia da venerdì. Qualche manifestante entra nel museo egizio e danneggia alcune statue e vetrate. Ma almeno in quella zona della città la protesta è tutto sommato pacifica.
A 500 metri, invece, è l’inferno. La Polizia ha perso il controllo e la testa. I fucili fanno fuoco in tutte le direzioni ad altezza d’uomo. Nel primo pomeriggio (di ieri - ndr), quando il numero dei manifestanti nell’area degli scontri aumenta notevolmente, iniziano a spuntare i primi morti e feriti. I giornalisti sono assaliti dai manifestanti. Qualcuno vorrebbe cacciarli, altri mostrano e inveiscono contro il governo. La moschea vicina è diventata un ospedale.
Molti criminali, dopo gli assalti alle caserme della Polizia sono tornati liberi per strada e distruggono vetrate per saccheggiare i negozi. La principale forza di opposizione, quella dei Fratelli Musulmani, accusa il governo di aver ucciso in carcere suoi militanti. La situazione è degenerata. L’esercito, che all’impressione è più vicino ai cittadini che ai politici è ovunque. La Polizia, che inizialmente sembrava sparita, si è soltanto spostata in seconda linea e continua a scontrarsi. Il Raìs ha ordinato ai militari di “usare la mano pesante con chi viola le regole”. Bisognerà vedere se l’ordine verrà rispettato o meno.
Per quanto riguarda il fronte politico, invece, Mubarak ha dato mandato al ministro dell’aviazione civile Ahmed Shafik, di formare il nuovo governo. Come vice ministro è stato incaricato l’ex capo dei servizi segreti Omar Suleiman. Ma non basta. Uno dei leader dell’opposizione, Mohammed El Baradei, lo ha annunciato: “Mubarak lasci o sarà intifada”. La piazza non vuole più Mubarak. Altri giorni di violenza attendono l’Egitto, mentre tremano gli equilibri del Medio Oriente.
Andrea Bernardi
(Inviato di Unimondo a Il Cairo)