www.unimondo.org/Guide/Politica/Corruzione-e-denuncia/Rifiuti-dieci-anni-di-lotta-alle-ecomafie-133936
Rifiuti: dieci anni di lotta alle ecomafie
Corruzione e denuncia
Stampa
Oltre un milione di tir carichi di rifiuti speciali e pericolosi. Incolonnati, coprirebbero tutti i settemila chilometri dell’intera rete autostradale italiana, per un giro d’affari che dal 2002 ad oggi ha fruttato alle ecomafie circa 43 miliardi di euro (di cui 3,3 miliardi di euro nel solo 2010). A fornire queste cifre è Legambiente, nel recente report “Rifiuti Spa” uscito per celebrare dieci di anni di lotta al traffico illegale dei rifiuti. Proprio il 13 febbraio del 2002, infatti, fu emessa la prima ordinanza di custodia cautelare per questo tipo di reato, fino a quel momento inedito nel nostro codice penale, durante l’operazione Greenland, coordinata dalla Procura della Repubblica di Spoleto e condotta dal Comando Tutela Ambiente dell’Arma dei Carabinieri. Da allora la lotta alle ecomafie ha avuto un’impennata: dal 2002 al 2012 Legambiente ha registrato 191 indagini, 89 delle quali hanno portato al sequestro di oltre 13 milioni di tonnellate di rifiuti, 666 le aziende coinvolte nelle indagini e 3348 le persone denunciate. “Certo abbiamo fatto enormi passi avanti – ha commentato Roberto Pennisi, della Direzione Nazionale Antimafia – Contemporaneamente, però, anche le ecomafie sono state capaci di riorganizzarsi, di mutare forma e modus operandi”.
Legambiente sottolinea come anche le rotte dei traffici siano cambiate: si segue sempre meno la direttrice nord-sud e sempre più percorsi circolari, che coinvolgono tutte le regioni italiane (tranne la Val d’Aosta, anche se il responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente Enrico Fontana ha espresso più volte i suoi dubbi in proposito). Non solo: il traffico illecito di rifiuti pericolosi è diventato sempre più internazionale. Nell’ultimo anno Legambiente ha contato circa 10 inchieste transnazionali, che hanno visto i tir dell’ecomafia italiana passare per l’Unione europea, e arrivare fino all’Africa, all’India e alla Cina. Qui i rifiuti pericolosi vengono spesso trattati senza regole né precauzioni, con enormi costi ambientali e sanitari, per poi spesso tornare da noi e nei nostri negozi sotto forma di prodotti di svariata natura. Un affare che va avanti da tempo: già prima del 2000 si era scoperto ad esempio come la maggior parte dei rifiuti tossici provenienti dall’Italia andasse a finire in Somalia (la giornalista Ilaria Alpi, prima di essere uccisa durante la missione ONU “Restore Hope” nel 1994 insieme all’operatore Miran Hrovatin, stava indagando proprio su un presunto traffico di armi e rifiuti tossici tra Italia e Somalia). “Dal 2001 a oggi le inchieste relative a traffici internazionali in partenza dall’Italia hanno portato a 156 arresti e 509 denunce; 124 le aziende sottoposte a provvedimenti giudiziari, con il coinvolgimento di ben 22 Paesi esteri: dalla Germania alla Cina, dalla Russia al Senegal – scrive Legambiente – il volume dei rifiuti è enorme”.
Ma come riescono i tir delle ecomafie a eludere i controlli? Ci sono diversi metodi combinati, che funzionano sia nei traffici illeciti all’estero sia in Italia. Il più vecchio e usato è il metodo del “giro-bolla”, in cui gli addetti al trasporto dei camion che partono da una qualche ditta, quando fanno tappa in aziende intermedie, riscrivono le bolle di accompagnamento dei rifiuti declassando i materiali da tossico-nocivi a innocui. In questo modo possono facilmente sversarli in una discarica o in un impianto di trattamento di rifiuti normali.
Accanto a questo metodo, c’è poi quello della “triangolazione”, in cui i rifiuti speciali o pericolosi stipati nei tir (sempre spacciati alle frontiere come fossero materie prime seconde o scarti di lavorazione) passano da un intermediario a un altro, o da un paese a un altro, in genere 5 o 6 tappe per carico, e fanno così perdere le loro tracce. Molto usato, nonostante sia in arrivo un divieto da parte del Parlamento, è anche il “mescolamento” di rifiuti pericolosi con altri classificati come non pericolosi. Si tratta di una tecnica che serve anche a eludere il controllo dei codici CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti): mescolando ad esempio dieci chili di diossina o di arsenico (contraddistinti da uno specifico codice CER) con dieci tonnellate di rifiuti urbani (che hanno un altro codice CER), il codice CER della miscela ottenuta sarà lo stesso dei rifiuti urbani, che compongono la parte più consistente del carico. Così, la diossina o l’arsenico spariscono dal carico e possono essere sversati tranquillamente insieme ai rifiuti urbani.
Per quanto riguarda lo smaltimento illegale vero e proprio, una volta arrivati a destinazione si utilizzano aziende agricole, aziende per il trattamento di rifiuti e aziende di compostaggio. Ma in generale i rifiuti vengono abbandonati e sversati ovunque: dai fiumi e laghi ai bordi delle strade, in mare, nei campi, nelle fogne, in cave abbandonate e in terreni trasformati in discariche abusive. A volte vengono bruciati per fare spazio ad altri rifiuti, accrescendo così il danno ambientale, o vengono intombati nelle fondamenta di opere pubbliche e di costruzioni. Spesso, come abbiamo visto, vengono spediti all’estero, in Paesi poveri e privi di forme di controllo, oppure introdotti in discariche o impianti di trattamento non concepiti per accoglierli. “E’ l’impresa che diventa crimine” afferma Pennisi, descrivendo un mondo in cui i soggetti coinvolti sono parecchi: non solo le mafie e la criminalità organizzata, ma anche imprenditori e proprietari di terreni, amministratori collusi o corrotti, colletti bianchi dalle tangenti facili e cittadini che a volte preferiscono non vedere e non sentire.
L’Italia, però, secondo Legambiente è ormai all’avanguardia nel contrasto a questo tipo di reati. “Dopo l’introduzione dei delitti ambientali nel codice penale gli inquirenti hanno potuto utilizzare adeguati strumenti investigativi, come le intercettazioni telefoniche e ambientali – ha commentato ancora Enrico Fontana di Legambiente – Senza contare il nuovo impulso alle attività investigative arrivato nel 2010 con l’inserimento del delitto di traffico illecito di rifiuti tra quelli di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia”. Nell’attesa di vedere all’opera il Sistri, il sistema elettronico di controllo che dovrebbe consentire la tracciabilità dei rifiuti speciali pericolosi su tutto il territorio nazionale, Legambiente ritiene siano comunque necessari ulteriori passi avanti in senso legislativo: come rafforzare e semplificare il quadro sanzionatorio in materia di tutela penale dell’ambiente, estendere il reato in tutti i paesi dell’Unione europea e inserire il contrasto al traffico illegale di rifiuti tra le attività di organismi investigativi e di controllo europei e internazionali.