Etiopia: politiche di scontro e reinsediamento

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In Etiopia gli scontri interetnici stanno infiammando da mesi la regione del sud-ovest a tal punto che è stato mobilitato l'esercito. In un'operazione condotta giovedì scorso alle porte di Gambella, nell'Etiopia occidentale, l'esercito avrebbe ucciso 20 ribelli responsabili secondo le autorità di Addis Abeba dei recenti attacchi condotti in città contro la popolazione civile. Secondo il Ministro degli Affari Federali nello scontro sarebbe morto anche il leader dei ribelli, il maggiore Kut. Persino il capo del governo in persona è intervenuto imponendo il coprifuoco totale nello stato di Gambela e nel contempo l'amministrazione statale è stata assunta pienamente dalla polizia federale e dalle forze di sicurezza inviate da Addis Abeba.

Dalle pagine di Nigrizia, Gebreghiorghis Wolde Berhane scrive che "Gambela è l'espressione più evidente dell'errata politica territoriale messa in atto dal governo di Meles Zenawi. La ristrutturazione territoriale dell'Etiopia e il contemporaneo processo di decentralizzazione amministrativa su basi etno-linguistiche, operate alcuni anni fa dal governo, hanno costretto gli stati periferici della federazione a dotarsi in fretta e furia di amministratori e ufficiali governativi spesso del tutto incompetenti". Ecco che quindi i tragici eventi di Gambela non vanno dunque visti come un'eccezione nel cammino di "democratizzazione" sbandierato dal governo, dominato dai tigrini, ma come il più recente esito negativo di una politica di regionalizzazione azzardata e troppo spinta.

A partire dal novembre 2003, la regione è stata teatro di scontri armati tra gruppi etnici (le etnie numericamente più consistenti sono i nuer e gli anuak; altri gruppi sono i mezengir, gli opio, i komo e le etnie degli altipiani). Secondo il ministro degli affari federali, Abay Tsehaye "partiti e gruppi politici, in nome di un malinteso nazionalismo, hanno promosso i propri interessi di parte e provocato lo scontro tra i gruppi etnici. Scontri spesso organizzati dall'amministrazione o dalla polizia locale. La leadership locale e la burocrazia hanno voluto favorire un solo gruppo etnico, gli anuak, con il risultato di compromettere l'unità delle popolazioni. Non è stato così possibile formare un'amministrazione regionale davvero impegnata per lo sviluppo e la pace di tutti". In gran parte inospitale come regione e dotata di vie di comunicazione molto povere, vanta una grande abbondanza di risorse naturali, incluse riserve di petrolio non ancora esplorate.

Con l'obiettivo dichiarato di ridurre l'insicurezza alimentare, e quindi la dipendenza dall'esterno di 15 dei 17 milioni di etiopi, il governo etiope sta lanciando un programma di reinsediamento che in tre anni, al costo di 220 milioni di dollari, dovrebbe portare circa 2,2 milioni di contadini poveri dalle terre aride sugli altipiani del nord a quelle più fertili delle pianure meridionali ed occidentali. Dubbi e perplessità dell'Ue e dell'Onu si appuntano proprio sulle terre di destinazione vista la precedente esperienza della dittatura di Mengistu che nel 1984 aveva attuato un piano del tutto simile, spostando 660.000 persone affamate verso il sud-ovest del paese. Il risultato fu un disastro: migliaia di persone, soprattutto bambini, morirono durante il trasferimento; nelle nuove zone di insediamento iniziarono subito lotte tra nuovi e vecchi coloni per la distribuzione della terra; i contadini provenienti dagli altopiani non erano preparati al clima dei bassipiani, infestati dalla malaria; l'incremento della produzione agricola non ci fu. Dopo il crollo della dittatura di Mengistu molti dei nuovi coloni tornarono alla propria terra sugli altopiani. "Gli spostamenti di popolazione su larga scala, volontari o involontari che siano, sono operazioni complesse, costose e destinate all'insuccesso" commenta scettico Desalegn Rahmato, direttore del Forum etiope per gli studi sociali.[AT]

Altre fonti: Warnews, Carta Mondo

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