Ricerca e animali: è possibile anche senza sperimentazione animale?

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È molto italiano il caos mediatico suscitato dalle dichiarazioni di Caterina Simonsen, la coraggiosa studentessa di veterinaria dell’università di Bologna, affetta da quattro malattie genetiche rare, che ha risposto con dignità e un sorriso ai pochi, ma pur sempre troppi, che l’hanno minacciata ed insultata dopo aver pubblicato una foto con il respiratore sulla bocca e il cartello “Io, Caterina S. ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un futuro”. Non siamo medici, tanto meno biologi, e la vita di Caterina è sicuramente un risultato dal quale partire per pensare la ricerca medica, non solo di questo Paese, che poco dovrebbe avere a che fare con le dispute da bar.

Come ha ricordato Oliviero Beha in questa storia esistono vari livelli di barbarie che non fanno ben sperare: “il primo è quello di chi augura la morte a Caterina e di chi senza farlo si associa idealmente a tale augurio. Pensate a un figlio da curare, per il quale fareste tutto, e meditate, barbari. Il secondo livello è quello di continuare a opporre ricerca scientifica e sperimentazione animale come toccasana a vivisezione e altre pratiche barbare o semibarbare. Qui siamo alla contrapposizione tra il figlio da curare e il tuo cane da far secco per sperimentare, una specie di tifo tra un umano e un animale che è esso stesso barbarie”, (non distante dai cartelli apparsi in questi giorni a Milano con nomi, cognomi e indirizzi di alcuni ricercatori e "vivisettori"). Il terzo livello è quello della comunicazione che forse come Unimondo ci riguarda ben più da vicino. “Perché mai o troppo raramente si è parlato e si parla con chiarezza dei vari aspetti della questione? Perché gli italiani che secondo qualunque ricerca si informano soprattutto grazie alla tv (o per colpa della) non hanno mai potuto approfittare di trasmissioni serie che rendessero pubblici i risultati di scienza e tecnica nel mondo, ormai oltre una sperimentazione animale considerata per esempio negli Usa perlomeno impropria e arretrata nel confronto tra specie diverse?ha concluso Beha.

In Gran Bretagna lo stesso argomento, negli stessi giorni, veniva affrontato con ben altra consapevolezza e piglio scientifico dell’Italia, in un programma di grande successo dedicato ai ragazzi, le Royal Institution Christmas Lectures. Su Bbc Nature una brava e simpatica conduttrice, la biochimica Alison Woollard dell’Università di Oxford, ha presentato la puntata del 28 dicembre scorso dal titolo Where Do I Come From? raccontando la storia di molte creature e spiegando come la conoscenza che acquisiamo dal mondo naturale anche senza sperimentazione animale stia aiutando ad informare la nostra comprensione dello sviluppo e delle malattie dell’uomo. 

Qualche esempio? I vermi “eroe”, una piccola ma meravigliosa specie di verme chiamato Caenorhabditis elegans che misura solo un millimetro di lunghezza. Questi vermi sono quasi impossibili da vedere senza l’aiuto di un microscopio, ma la loro trasparenza consente agli scienziati la ricerca all’interno di una creatura vivente senza l’ausilio di raggi x, scansioni MRI o di qualsiasi altre tecnologie invasive. Da allora questo semplice verme ha contribuito a informare una vasta gamma di temi di ricerca, dall’invecchiamento al cancro. Similmente la medusa Aequorea victoria che produce una proteina “glow-in-the-dark” chiamata GFP (green fluorescent protein) ha permesso agli scienziati di seguire i movimenti di proteine specifiche attraverso il corpo utilizzandola come un “tag” visibile. Con l’utilizzo della GFP si può seguire l’impatto di questa sul resto dell’organismo. “Io di certo non sarei stata in grado di cominciare a capire alcuni geni associati al cancro senza l’aiuto del GFPha raccontato la Woollard che ha proseguito il suo scientifico racconto grazie ai contributi dei pesci di grotta utili per comprendere meglio i disturbi del sonno, delle cozze le cui proprietà “super sticking” hanno ispirato un nuovo bio-adesivo utilizzato nelle procedure chirurgiche e delle salamandre con le loro notevoli capacità di rigenerazione. “Se riusciamo a capire come lo fanno, potremmo essere in grado di sviluppare un trattamento che possa essere utile alla guarigione delle ferite negli esseri umani”.

Questa è solo una piccola fotografia del vasto patrimonio di segreti biologici in attesa di essere sbloccati nel mondo animale. In alcuni casi la ricerca è ancora nelle fasi iniziali e ci sono innumerevoli specie con proprietà genetiche uniche che dobbiamo ancora mettere sotto il microscopio senza elettrodi. Il mondo animale, insomma, può darci ancora tanto e non per forza esclusivamente attraverso la vivisezione, che con la campagna STOP VIVISECTION e le sue 1.326.000 adesioni, sembra invitare l’Europa a ripensare le sue leggi in materia di sperimentazione animale. Per i promotori si tratta di un risultato straordinario, frutto dell’impegno e della tenacia di decine di migliaia di volontari, dei comitati nazionali e delle centinaia di associazioni che hanno lavorato in tutta Europa con un budget disponibile di appena 25.000 euro, frutto delle donazioni volontarie di cittadini e delle ong.

Anche per questo non possiamo non raccontare quegli approcci che senza ricorrere alla sperimentazione animale sembrano convincere chi nella cura delle malattie rare si spende da anni come la dottoressa Susanna Penco, biologa e ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova dove da vent’anni è impegnata per combattere la sclerosi multipla. “Grazie alle mie conoscenze scientifiche - ha dichiarato a GeaPress la Penco - sono persuasa che, anche per le malattie più agghiaccianti, sia proprio la sperimentazioni sugli animali ad allontanare le soluzioni e la guarigione per i malati”. Per la Penco “un modo di capire le cause, e di guarire anziché curare (guarire gioverebbe ai malati, e anche al bilancio dello Stato, della Sanità, in definitiva dei contribuenti!), dovremmo cominciare a studiare tessuti umani e anche gli organi post mortem”.

Dello stesso avviso anche la dottoressa Candida Nastrucci, biochimico clinico dell’Università di Oxford e Grant Holder della Fondazione Veronesi convinta anche lei che l’uso di animali potrebbe aver addirittura rallentato il progresso della ricerca per trovare cure per le malattie umane. Per la Nastrucci il futuro è la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane. “Per queste ragioni – ha concluso la ricercatrice che come la Penco compone il Tavolo Tecnico Ministeriale sui metodi alternativi alla Sperimentazione Animale inaugurato dal precedente Ministro della Salute Balduzzi nello scorso aprile - negli altri Paesi si investe sui metodi alternativi: per esempio, il National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti ha finanziato con 6 milioni di dollari un progetto rivoluzionario per la mappatura del toxoma umano, con l’obiettivo di sviluppare test tossicologici per la salute umana e ridurre quelli sugli animali”.

Il dibattito è aperto. Una cosa è certa però, è difficile comprendere come sia possibile avviare una seria riflessione attorno ai diritti animali senza iniziare almeno col provare empatia per un essere umano che vive attaccato ad una macchina.

Alessandro Graziadei 

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