L’ecologia evolutiva dell’etanolo

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Foto: Unsplash.com

Che gli animali avessero abitudini curiose, sociali, creative, comportamentali e riproduttive dove dare prova di un’inventiva e una capacità di adattamento affascinanti e strabilianti è un aspetto della vita non umana che non osavamo mettere in dubbio, ma che anzi continuiamo a studiare con sempre più interesse e attenzione. Che però anche gli animali abbiano certe passioni alcoliche… non è ancora così dimostrabile. 

Vero è che alcune specie si cibano di frutti fermentati, linfe e nettari che incrementano nel loro sangue i livelli di etanolo, fino a raggiungere tassi ragguardevoli. Insomma, anche tra gli animali ne troviamo alcuni che non disdegnano di alzare il gomito. E se noi uomini abbiamo fatto dell’atto del bere una sorta di forma d’arte (se ovviamente non degenera in dipendenze e comportamenti sociali molesti), quando si tratta di fare scorta di alcol Homo sapiens non è certo un’eccezione nel mondo vivente. Ce lo confermano i ricercatori dell’Università di Exeter, che hanno studiato come l’alcol sia presente in quasi tutti gli ecosistemi terrestri tanto da rendere abbastanza comune il fatto che la maggior parte degli animali che pasteggiano regolarmente con frutta zuccherosa e nettare assumano anche sostanze intossicanti.

Molte creature si sono in effetti evolute per tollerare quel “cicchetto” che fornisce tra l’altro qualche utile caloria in più, ma molte altre hanno invece optato per proteggersi a monte, evitando di includere l’assunzione di alcool nelle loro diete. Altri ancora, invece, non sembrano in grado di gestire le conseguenze degli effetti che l’etanolo provoca.Dobbiamo abbandonare la visione antropocentrica secondo la quale l’alcol è consumato solo dagli umani, accettando il fatto che l’etanolo sia parecchio abbondante nel mondo naturaledichiara Anna Bowland, una delle scienziate del team. 

Nel setacciare lavori e ricerche che riguardano animali e alcol, gli studiosi sono arrivati a individuare una categoria di animali che non solo hanno adottato, ma anche apprezzato, una dieta ricca di etanolo, derivante appunto da un elevato consumo di frutta fermentata, linfe e nettare, attingendo a quelle riserve terrestri apparse oltre 100 milioni di anni fa con l’inizio, da parte delle piante a fiore, della produzione di frutti zuccherini e nettari che i lieviti potevano fermentare. Il contenuto alcolico è tipicamente basso (tra l’1% e il 2% di volume), ma nella frutta marcescente si raggiunge anche il 10%.

Ne sanno qualcosa gli scimpanzé del sud-est della Guinea catturati da una fototrappola mentre letteralmente si sbronzavano della linfa della palma rafia (Raphia farinifera), pianta appartenente alla famiglia delle Arecacee, originaria dell’Africa tropicale e del Madagascar. Nel frattempo a Panama gli ateli, o scimmie ragno, gradiscono particolarmente i cagià, frutti della famiglia delle Anacardiacee simili alle nostre castagne (che contengono tra l’1% e il 2,5% di alcol). Insomma, ci tocca venire a patti col fatto che non siamo gli unici a godere di certi piaceri alcolici, e gli scienziati ce lo spiegano nello studio intitolato «The evolutionary ecology of ethanol», titolo intrigante di facile intuizione.

Se poi questo consumo, negli animali, porti all’ubriachezza è un’altra questione. Storie di individui alterati dai fumi dell’alcol circolano da parecchio tempo, ma di fatto parecchi animali sembrano mostrare un alto tasso di tolleranza nei confronti dell’alcol che, in relazione a un regolare consumo, tendono a metabolizzare velocemente risparmiandosi i post sbornia che noi umani conosciamo. Solo chi ne assume meno frequentemente va incontro a effetti collaterali pesanti, come per esempio i beccofrusoni dei cedri, passeriformi americani morti sbattendo contro steccati e altre strutture perché stavano volando in stato di ebbrezza dopo aver fatto una scorpacciata di frutti marcescenti dell’albero del pepe.

Di certo uno stato che non porta benefici in un mondo dove la lotta per la sopravvivenza è costante e senza sosta. Gli effetti peggiori però si riscontrano negli insetti: i maschi dei moscerini della frutta si danno all’alcol quando vengono rifiutati nel corteggiamento, mentre le femmine di un’altra Drosophila, quando sono ubriache, si concedono a molti più partner, per poi deporre le uova in frutti ricchi di etanolo e proteggerle dai parassiti. Al momento, i ricercatori sostengono che gli unici viventi che potrebbero assumere alcol in quantità pressoché illimitata (fino all’80% di soluzione alcolica) senza apparentemente subirne le conseguenze potrebbero essere i calabroni orientali (Vespa orientalis Linnaeus). 

Gli spazi per la ricerca restano aperti e chiaramente non con lo scopo di incoraggiare il consumo di sostanze alcoliche ma con l’obiettivo in questa fase di “testare se gli animali selvatici preferiscano cibo che contiene etanolo o invece lo assumano solo quando i livelli alcolici sono troppo bassi per essere individuati o l’alternativa di frutta non fermentata sia di difficile accesso o reperimento, ribadisce Matthew Carrigan (College of Central Florida), uno dei ricercatori che ha lavorato alla revisione dello studio che è stato pubblicato sulla rivista «Trends in Ecology & Evolution» a fine ottobre.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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