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Animali e droghe… uno sballo?
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Immagine: Unsplash.com
Avete presente quella vignetta dei Peanuts, dove ironicamente Snoopy si augura qualcosa che suona come “Oggi avrei bisogno di prendere quello che ha preso Battiato quando vedeva gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte dell’imperatore della dinastia dei Ming”?
Quante volte ci sentiamo anche noi così, battute a parte? Quante volte ci riconosciamo nelle parole di questo simpatico cagnolino e vorremmo cadere in un rilassante disconnesso oblio? Quante volte vorremmo una spinta verso l’euforia? Sappiamo benissimo che le migliori sostanze stupefacenti sono quelle generate da una risata, dalla bellezza, dall’attività sportiva, da un abbraccio e da una sana alimentazione ma…non sempre per noi umani è così facile e la tentazione a procurarsi qualche “aiuto” o qualche sostanza che potenzi la generazione di sentimenti e sensazioni positive, pure se temporanee e illusorie, è sempre dietro l’angolo. E non solo per noi!
Nemmeno gli animali sono esenti da questo rischio, o desiderio, come lo si voglia chiamare. Lo avreste detto? Ricorrere a sostanze stupefacenti non è una tentazione solo per noi uomini, anche se per gli animali le conseguenze sono decisamente molto diverse rispetto a quelle note per l’uomo. Le droghe per gli animali sono semi, nettari, radici, frutti fermentati, funghi o licheni, i quali producono a seconda dei casi e di chi le assume iperattività, confusione, inebriante benessere. Un’insolita rubrica degli amici di Rivista Natura passa in rassegna le più curiose inclinazioni al doping di alcuni animali.
Alle mucche, per esempio, fanno effetto stordente gli Astragali, tant’è che preferiscono questo genere di erbe alle altre, senza però considerarne gli effetti sul lungo periodo che le rendono deboli, magre, aggressive e con la tendenza a isolarsi dalla mandria, attraversando autentiche crisi di astinenza. Effetti collaterali che colpiscono anche i pettirossi americani, golosi di bacche di agrifoglio e ingordi di frutti, che però provocano scarsa coordinazione nel volo e perdita di riflessi e li rendono dunque prede più facili per i gatti e soggetti più vulnerabili agli investimenti da automobile. Passatempi allucinogeni che riguardano anche i lemuri neri del Madagascar, che uniscono l’utile al dilettevole: mordicchiando alcuni millepiedi rossi ne provocano secrezioni che, se spalmati sul pelo, funzionano come preziosi dissuasori per le punture di insetti, ma d’altro canto garantiscono anche un effetto stordente che narcotizza i lemuri per una manciata di minuti. Senza contare poi la passione dei ricci per il vino, utilizzato dai contadini per attirarli negli orti e costruire alleanze nella lotta a lumache e insetti che minacciano il raccolto delle verdure a foglia.
Un viaggio “su di giri” che fa il giro del mondo a quanto pare, dato che conseguenze analoghe si riscontrano sugli elefanti, i babbuini e i facoceri, amanti del frutto della marula (Sclerocarya birrea), albero della stessa famiglia del mango particolarmente apprezzato anche dagli uomini (che da quegli stessi frutti ricavano un piacevole liquore simile nel sapore alle creme di whiskey), il cui abuso sembra rendere ubriachi anche gli animali, che in questo stato possono attuare comportamenti aggressivi e imprevedibili.
Gli scienziati però tendono alla cautela e ridimensionano il mito degli animali brilli nella foresta. Il contributo di alcuni ricercatori racconta una storia molto diversa sugli elefanti ubriachi. Steve Morris, biologo dell’Università di Bristol (GB), sostiene che nulla, né nella biologia dei pachidermi, né in quella dei frutti fermentati, supporta questa versione. L’abitudine degli elefanti non è di mangiare la frutta marcia (e dunque fermentata, con gli effetti di cui sopra) caduta a terra, ma direttamente quella matura ancora sull’albero, tanto da scuotere con vigore le piante per far cadere i frutti più freschi, pur in presenza di altri frutti a terra. Una teoria supportata anche da altri esperti che riconoscono nella golosità degli animali un fattore determinante: non si aspetta che la frutta fermenti, si mangia quando è matura!
Si tratta di studi del comportamento e della morfologia che smentiscono anche l’eventuale fermentazione interna nell’animale: il cibo impiega dalle 12 alle 46 ore ad attraversare il sistema digerente, tempo non sufficiente perché un frutto fermenti. Inoltre, gli zuccheri della dieta sono metabolizzati in acidi grassi volatili, rendendoli indisponibili prima che si trasformino in alcol. E se in minima parte può succedere, in ogni caso non si tratta di quantità sufficienti ad ubriacare un animale che, per peso e dimensioni, avrebbe bisogno di poco meno di 2 litri di alcol – ovvero di 27 litri di succo di marula, corrispondenti a oltre 1400 frutti in un sol colpo – per sentire i primi giramenti di testa!
Non per tutti gli animali la scienza ha messo a tacere miti e leggende, ma certo l’idea che siano in qualche modo attratti da uno “sballo” temporaneo che mitiga le difficoltà della vita fa presa sull’immaginario collettivo di noi uomini, in cerca di diversivi e facili soluzioni alle fatiche che attraversiamo, tentazioni sorelle di quella fragilità che è cifra dei nostri tempi e che, se pure porta ancora con sé lo stigma del fallimento, è anche e probabilmente inevitabile ricaduta della società in cui viviamo e della trascuratezza, in termini di attenzione e inclusione, che molti aspetti del nostro stare al mondo scontano.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.