I parchi italiani incubatori di buone pratiche

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Foto: Unsplash.com

Quello che stiamo vivendo in questi giorni non è una catastrofe naturale casuale e sono molte le indagini che mettono in relazione la diffusione delle malattie infettive con l’azione dell’uomo sulla natura e la conseguente alterazione dei delicati equilibri naturali esistenti tra le differenti specie viventi e i loro relativi habitat. La pandemia in corso non fa che sottolineare quanto la battaglia per la difesa della biodiversità sia cruciale. A Sottolineare questo L’Onu ha dedicato il 2020 alla biodiversità. Però la situazione è altamente compromessa; secondo l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente circa il 75% dell’ambiente terrestre e oltre il 60% dell’ambiente marino sono gravemente alterati.

Parchi e aree protette sono realtà importanti per la tutela dell’ambiente e proprio dai loro modelli di gestione e tutela possono venire indicazioni utili per il recupero delle aree degradate e uno sviluppo rurale rispettoso dell’ambiente, perché la difesa del paesaggio e della biodiversità deve interessare tutto il nostro territorio. Con 820mila ettari di boschi e foreste, i parchi italiani svolgono funzioni ecosistemiche fondamentali, fra queste l’assorbimento di 145 milioni di tonnellate eq./anno di CO2. Un patrimonio collettivo di bellezza e natura, comunità e territori da preservare e valorizzare. Per questa ragione Slow Food, insieme a molti enti parco, ha promosso numerosi progetti per far conoscere e tutelare le specie, gli habitat, i paesaggi agricoli, il lavoro, i saperi e la cultura che rendono possibile l’agricoltura di qualità. Il parco diventa così un incubatore di buone pratiche, di una protezione dell’ambiente che va di pari passo con quella del territorio popolato dalle persone, in un ampio progetto di coesistenza uomo-ambiente.

Ed è proprio dalle buone pratiche che si può immaginare un piano di ricostruzione che possa sconfiggere tanto la crisi climatica quanto quella economica che si prospetta davanti a noi.

La storia ci insegna che a volte, in tempo di crisi, nascono le migliori opportunità e la sfida potrebbe essere proprio quella di ripartire dalla necessità di imparare di nuovo a conoscere la natura e a vivere in equilibrio con l’ecosistema. Da qui la proposta al governo del Consiglio Direttivo di Federparchi di utilizzare – in tutta sicurezza e con rigorose forme di controllo – le aree naturali protette come spazio vivibile e capace di ricreare un positivo rapporto con la natura.

La giornata mondiale della Terra è stata l’occasione per ribadire con forza che non dobbiamo abbassare la guardia sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e quanto sia importante riaffermare l’importanza della giustizia climatica e di un cambiamento profondo dei modelli produttivi che hanno arrecato danni incalcolabili al pianeta.

Un appello che è arrivato anche dal Forum Salviamo il Paesaggio, che chiede di avviare una profonda conversione ecologica e solidale degli apparati produttivi e dei comportamenti di consumo, di «restituire ai dinamismi naturali almeno il 50% del suolo e delle aree marine, proteggendo e promuovendo la biodiversità e il rispetto di tutte le specie viventi; ridurre da subito le emissioni che alterano il clima; fermare gli allevamenti intensivi, l’agrobusiness e promuovere l’agricoltura contadina; promuovere i beni comuni e le pratiche sociali di gestione comunitaria delle risorse sociali e ambientali di un territorio con modi e forme che garantiscano l’integrazione e la solidarietà tra comunità civili nazionali, continentali e planetarie».

Sarà importante che le risorse che verranno messe a disposizione della nostra economia per la ripartenza vengano investite per proteggere innanzitutto la salute delle persone, lavorando per la transizione ecologica, la giustizia climatica, proteggendo gli ecosistemi e rigenerando le nostre città.

Gaia Salvatori da Slowfood.it

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