Finalmente l’Europa è una LGBTIQ Freedom Zone

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Nella sessione plenaria di marzo, il Parlamento Europeo ha adottato, a maggioranza ampissima, una risoluzione con cui dichiara l’Europa una LGBTIQ Freedom Zone.

Dichiarare l’Unione Europea una zona libera per le persone LGBTIQ è una risposta simbolica ma decisa a ciò che sta succedendo in diversi Stati membri: un netto peggioramento dello stato di diritto e un deterioramento della democrazia si accompagnano ad una diffusione preoccupante dei discorsi d’odio, i cui corollari sono provvedimenti discriminatori presi da istituzioni locali, regionali e nazionali.  

Primo fra tutti la Polonia. Dal 2019 un centinaio di regioni, distretti e comuni polacchi si sono dichiarati LGBTIQ Free Zone, cioè liberi da LGBTIQ o hanno adottato “Carte regionali dei diritti della famiglia”. Questo significa che da un lato vengono invitati gli enti locali ad astenersi dal incoraggiare o sostenere le associazioni e le persone LGBTIQ, proponendo addirittura di revocare l’assistenza finanziaria a queste associazioni; dall’altro si incoraggiano le politiche di sostegno alla famiglia in cui – pare ovvio – il concetto di famiglia è molto ristretto e quindi si discriminano – sempre più ovvio – tutti gli altri tipi di famiglia, comprese quelle monoparentali, omosessuali e arcobaleno. 

Queste risoluzioni affermano di opporsi fermamente all’ideologia LGBTIQ, che per altro non esiste – come aveva sottolineato anche la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Layen nel suo Discorso sullo stato dell’Unione – dato che LGBTIQ indica l’identità di una persona e non un’ideologia. 

La risoluzione del Parlamento UE sottolinea che l’uso di linguaggio d’odio si sta diffondendo in tutta la Polonia e viene sempre più utilizzato da coloro che ricoprono cariche pubbliche, non ultimo il Presidente polacco e i media filogovernativi. Come se non bastasse, gli attivisti che si oppongono a queste misure vengono zittiti attraverso azioni legali intimidatorie e campagne diffamatorie. Insomma, la Polonia sta facendo del suo meglio per tappare la bocca della società civile.

Sebbene la Commissione abbia respinto le domande di finanziamenti UE per il suo programma di gemellaggio presentate da città polacche che avevano adottato le LGBTIQ Free Zone o quelle sui diritti della famiglia, il Parlamento Europeo chiede che la Commissione faccia ricorso a tutti gli strumenti possibili (comprese la procedura di infrazione del Trattato e il regolamento sulla tutela del bilancio dell'Unione) in caso di carenze dello stato di diritto negli Stati membri, con l’obiettivo di contrastare le violazioni dei diritti fondamentali delle persone LGBTIQ in tutta l'Unione

Nella lista dei Paesi oscurantisti, bisogna menzionare l’Ungheria. Se ormai Viktor Orbán è conosciuto e riconosciuto come un leader dal vezzo autoritario, la situazione sul fronte dei diritti civili, o meglio, delle loro violazioni non è certo migliore che in Polonia.

regressi giuridici ungheresi vietano il riconoscimento legale del genere per transgender e intersessuali, privandoli del diritto alla vita privata; altri emendamenti costituzionali violano de facto il diritto alla vita familiare per persone transgender e non binarie, ignorando completamente la loro esistenza; infine una legge priverà le coppie non sposate del diritto di adozione. Ma se ci fosse bisogno di aggiungere altro, nel novembre 2020 la città ungherese di Nagykáta ha approvato una risoluzione che “vieta la diffusione e la promozione della propaganda LGBTIQ”.  

L’elenco dei Paesi che hanno approvato misure discriminatorie continua. Dalla Lettonia alla Romania, il virus anti-gender si diffonde in fretta quanto quello che sta causando la peggiore crisi sanitaria mondiale dell’ultimo secolo.Solo che il virus della discriminazione è sempre esistito e ha causato vittime in ogni parte del mondo. Ma l’Europa, o una sua parte – nonostante i tristi trascorsi di abusi e violazioni – sembra che, di tanto in tanto, ricada indietro nel tempo. 

Si ha questa impressione quando si scopre che solo in due Stati europei, Malta e Germania, sono state vietate per legge le cosiddette “terapie di conversione” (o “riparative”), anche se non dovrebbero mai essere chiamate terapie dato che non hanno nessun fondamento scientifico. Si tratta di una pratica ripugnante che obbliga bambini e bambine, giovani ragazzi e ragazze a sottoporsi a sedute spiritiche, esorcismi, uso di farmaci e sedute di psicoterapia al fine di modificare il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere: da LGBTIQ a eterosessuale. Le conseguenze di queste pratiche, invece, sì che sono dimostrabili e dimostrate: perdita di autostima, depressione, ansietà, isolamento sociale, vergogna e colpa, disfunzioni sessuali, pensieri suicidi 

Se vi state chiedendo in che razza di Paese democratico vengano messe in pratica simili bestialità, sappiate che l’Italia è uno di questi. A farci compagnia però ci sono altri Stati europei, i quali non hanno finora preso alcun provvedimento, nonostante il Parlamento Europeo abbia più volte richiamato la necessità di una legislazione nazionale a riguardo. 

La risoluzione LGBTIQ Freedom Zone riporta che le discriminazioni pubbliche, l’incitamento all’odio e i reati perpetrati nei confronti delle persone LGBTIQ sono persistenti. Ancora troppo spesso le risposte delle autorità pubbliche rimangono inadeguate. Sebbene vari Stati membri abbiano aggiornato la propria legislazione per renderla più inclusiva, rimangono lacune normative che richiedono volontà politica e l’impegno dei legislatori nazionali al fine di garantire una vera uguaglianza alle persone LGBTIQ.  

Il passaggio che sottolinea la mancanza di leggi adeguate mi è sembrato un monito che anche il nostro Senatofarebbe bene a tenere presente. Il ddl Zan, per dirne una, contro l’omotransfobia – ma anche misoginia e abilismo – è bloccato da sei mesi in Commissione Giustizia. Il Presidente di Commissione, il leghista Andrea Ostellari, rimanda da settimane la calendarizzazione, adducendo che questa non sia una priorità per il Paese. 

Verrebbe da chiedersi quali siano le priorità di Palazzo Madama, se tutelare egualmente tutti i cittadini e le cittadine da fenomeni che comprendono aggressioni e botte (come il pestaggio omofobo avvenuto recentemente nella stazione metro di Roma), oltre che insulti e incitamento all’odio, non lo è. 

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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