Nuove costruzioni a Gerusalemme Est tra le proteste degli attivisti

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La notizia, questa volta, non è piaciuta neppure agli Stati Uniti, il cui Governo si è dichiarato “profondamente deluso” dai nuovi progetti di costruzione a Gerusalemme Est. Secondo il dipartimento di Stato americano, infatti, si tratterebbe di scelte contro produttive rispetto al tentativo di riassumere negoziati diretti tra le parti. Scelte che, in “zone sensibili di Gerusalemme Est”, non faciliterebbero di certo il dialogo con i palestinesi.

La questione? La pubblicazione, da parte di Ruth Yosef, capo del Jerusalem District Planning and Building Committee, il Comitato distrettuale di Gerusalemme per la progettazione e costruzione, dei dettagli di un programma che permetterà la costruzione di 930 unità abitative nella zona Har Homa C, e di 48 unità abitative a Har Homa B. Altre 320 unità state progettate a Ramot, sempre aldilà della Green line, come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. Tutte costruzioni che sorgeranno, insomma, a Gerusalemme Est, nella capitale contesa.

L’argomento, in realtà, non è nuovo e i nuovi progetti di costruzione non giungono inaspettatamente: come dichiarato dallo stesso Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, infatti, Israele non avrebbe mai posto limiti alle costruzioni a Gerusalemme, neanche durante il settlement freeze che per dieci mesi aveva interrotto l’espansione delle colonie in Cisgiordania. “Gerusalemme non è una colonia- è la capitale di Israele” sono le parole usate in un comunicato stampa diffuso dall’ufficio del Primo ministro in seguito alle recenti polemiche.

Le prospettive, insomma, sembrano abbastanza chiare e, come secondo dichiarazione del Governo, la politica di Israele nei confronti di Gerusalemme non sarebbe cambiata negli ultimi 40 anni. Politica duramente criticata da associazioni per i diritti umani, tra cui il movimento di solidarietá Sheick Jarrah (Sheick Jarrah Solidarity movement), che ha recentemente lanciato una nuova iniziativa a sostegno dei palestinesi residenti a Sheick Jarrah, quartiere simbolo della lotta contro gli espropri israeliani. Gli attivisti, infatti, chiederanno che lo Stato torni in possesso delle case , occupate dai coloni per evitare ulteriori scontri con i palestinesi e facilitare il processo di pace.

Come riportato dal quotidiano Haaretz, l’avvocato Michael Ben-Yair e altri giuristi stanno cercando una soluzione per vie legali alla questione di Sheikh Jarrah, basandosi su un’opinione espressa nel 1999 dal procuratore generale Menachem Mazuz. Rispondendo a Haim Ramon, ex ministro per gli affari inerenti la cittá di Gerusalemme (Jerusalem affairs minister), Mazuz aveva infatti dichiarato che le terre di proprietá di Irwin Moskowitz, patrono dei coloni di Gerusalemme est, potevano eventualmente essere confiscate per prevenire la costruzione di insediamenti ebraici in piena Palestina, nonché per preservare l’ordine pubblico ed evitare danni allo Stato di Israele.

Le proprietá in questione, insomma, andrebbero riprese proprio per prevenire ulteriori scontri e problematiche e giungere a un accordo di pace. “Queste informazioni rafforzano ulteriormente la nostra accusa che Israele discrimini i palestinesi facendo il possibile per sfrattarli e togliere loro le proprietá”, spiega Avner Inbar, uno dei leader del movimento di solidarietá che ogni venerdí protesta nel quartiere di Gerusalemme Est per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione.

Michela Perathoner (inviata di Unimondo)

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