L’Italia e il bidone nucleare

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Con i referendum abrogativi del 1987 era “di fatto” ma non “de jure”, chiusa la stagione nucleare italiana iniziata negli anni ’60. Oggi, 23 anni dopo, “di fatto” ci rimane solo il suo prossimo ritorno sancito dal parlamento il 23 luglio 2009 con la legge Sviluppo. Ma dove ed a quali condizioni? Legambiente, oltre ad aver avviato una contro proposta di legge d’iniziativa popolare, in occasione del ventitreesimo anniversario della vittoria referendaria dell’87 (8 - 9 novembre) ha presentato un ampio dossier dal titolo inequivocabile: “A chi tocca il bidone nucleare?” (.pdf).

Il bidone nucleare tocca, anzitutto, a tutti gli italiani senza eccezioni, anche se in politivherse s’informa che “formalmente non è ancora possibile procedere alla localizzazione degli impianti atomici [...] in realtà è già possibile simulare un processo di selezione di aree disponibili”. I documenti governativi, a tal proposito, rassicurano che “gli standard internazionali per la localizzazione degli impianti atomici sono ampiamente noti e l’Agenzia per la sicurezza nucleare del nostro Paese non potrà che assumerli come propri”.

Sono quindi 50 le “aree atomiche” distribuite in 15 regioni italiane potenzialmente idonee a localizzare una centrale nucleare: “7 in Puglia, 6 in Toscana, 5 in Sardegna e Sicilia, 4 in Calabria, Lombardia e Veneto, 3 in Emilia Romagna, Lazio Friuli e Venezia Giulia, 2 in Campania, 1 in Basilicata, Molise, Piemonte e Umbria”. Nell’elenco, che potete consultare Comune per Comune nel dossier di Legambiente (pagine 10 e 11 .pdf), compaiono vecchie conoscenze del movimento antinucleare italiano come “i 4 siti che ospitano ancora oggi le centrali dimesse di Trino Vercellese (Vc), Caorso (Pc), Latina e Garigliano (Ce), ma anche di Montalto di Castro (Vt)” dove era in costruzione la quinta centrale nucleare prima del referendum.

“Stando a quanto riportano indiscrezioni di Palazzo - si legge sul documento di Legambiente - i progetti delle aziende energetiche sarebbero già pronti e dei 4 reattori EPR oggetto dell’accordo Berlusconi - Sarkozy del febbraio 2009, che dovrebbero essere costruiti da Enel e dalla francese EdF, 2 verrebbero realizzati a Montalto di Castro, al confine tra Lazio e Toscana, 1 sull’asta del fiume Po a partire dai siti ex nucleari di Trino Vercellese, e uno nel centro sud Italia”.

A queste localizzazioni vanno poi aggiunte quelle relative al deposito e allo stoccaggio delle scorie, sia del vecchio che del futuro programma nucleare, problema che coinvolgerà altre 52 possibili aree, “ciascuna di 300 ettari di estensione, localizzate tra Puglia, Molise, Basilicata, (in particolare l’area calanchiva e la Murgia in provincia di Matera), tra il Lazio e la Toscana (la provincia di Viterbo e la Maremma), tra l’Emilia e il Piemonte (soprattutto nel Piacentino e nel Monferrato)”. Anche in questo caso, denuncia Legambiente “l’iter è stato coperto dal segreto e ora si è in attesa del varo dell’Agenzia per la sicurezza nucleare che dovrà validare questa selezione”.

Ma il “dove” non è la sola nota dolente del neo programma nucleare italiano, anche il “come”, che vede protagonista la tecnologica EPR di terza generazione progettata dalla francese Areva e che il Governo vuole importare con 4 esemplari, lascia perplessa Legambiente. Se i fautori dell’EPR, infatti, ne parlano come di un gioiello di sicurezza e tecnologia, quelli in costruzione a Olkiluoto in Finlandia e a Flamanville in Francia stanno palesando costi elevatissimi, ritardi di costruzione e limiti di sicurezza che “hanno spinto diversi governi e aziende energetiche a ripensare le loro strategie e in alcuni casi a ritirare gli ordini d’acquisto”.

“Il reattore di Flamanville, la cui costruzione ha avuto inizio nel 2007, ha già accumulato due anni di ritardo con un primo aumento dei costi di costruzione passati dal preventivo di 3 miliardi di euro ai 4 attuali”, fondi potenzialmente sottratti allo sviluppo “alle fonti di energia rinnovabili e a politiche di efficienza energetica, uniche soluzioni già disponibili per ridurre in tempi brevi e con efficacia le emissioni climalteranti”.

L’EPR sembrerebbe quindi un vero e proprio “bidone” che ha addirittura convinto le Autorità per la sicurezza nucleare di Francia, Finlandia e Gran Bretagna a diffondere una nota riportata in appendice al dossier (pagine 31 e 32 .pdf) che “evidenzia tutti i problemi del sistema di sicurezza EPR, più precisamente la sua inadeguatezza e la mancata indipendenza dal sistema di controllo”.

Quanto basta per desistere? Non ancora, “ma facciamo sempre tempo ad aggiungere - conclude Legambiente - che il problema delle scorie, nel caso dei reattori EPR addirittura più radioattive del solito a causa di un maggior arricchimento dell’uranio fissile, è ancora molto distante dall’essere non solo risolto, ma quanto meno gestito in sicurezza”.

Insomma, se per Enel "il nucleare è buono e fa bene soprattutto in Italia" per Legambiente sembra invece che il contributo di “questo nucleare” in Italia sia davvero irrilevante, tardivo oltre che costoso e pericoloso. In sintesi: “too little, too late, too expensive, too dangerous”.

Alessandro Graziadei

 

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